Cgil, Cisl e Uil precisano, inoltre, che da tempo ormai sostengono “la necessità di emanciparsi dalle “monoculture”, non solo da quella dell’acciaio, come fattore di crescita culturale prima ancora che economico, e che sia impreciso ritenere che non vi sono possibilità di sviluppo proponendo la valorizzazione di una economia aggiuntiva che metta a frutto tutte le potenzialità del territorio che sono ampie e di grande interesse. Il rilancio dell’Arsenale di Taranto (c.d. Piano Brin), lo sviluppo della cantieristica navale e, più recentemente, la “rottamazione” delle navi, unitamente all’articolazione di un vero proprio polo per la bonifica dei siti inquinati, per proseguire con le politiche a tutela della salute del welfare, gli investimenti in infrastrutture e per finire con la macro direttrice della logistica e della portualità; queste sono solo alcune delle macro opzioni di cui il territorio dispone. Potremmo proseguire ancora con la “rigenerazione urbana”, “l’avionica” e “l’aerospazio”, “l’agroalimentare” di qualità, senza sottovalutare le indiscutibili vocazioni turistiche di ampi tratti del nostro territorio. Alla filiera della conoscenza spetta il compito non lieve di organizzarle, di articolarle con una forte radice scientifica, al fine di farne fattore stabile di sviluppo e di crescita che si radica in modo armonico e prospettico investendo e valorizzano il “capitale umano” di cui dispone il territorio”. Per tali motivazioni, ritengono che Taranto non abbia solo bisogno di un piano pluriennale di investimenti, ma anche di regole specifiche (c.d. deroghe) in grado di tracciare un percorso di crescita dell’intero Polo al di fuori delle strettoie imposte dalle rigide e angoscianti maglie della burocrazia italiana.
(dal TarantoOggi del 29 luglio 2014)
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