llva, siamo alle comiche. Finali?
TARANTO – Probabilmente siamo noi che non riusciamo a capire. Evidentemente non abbiamo gli strumenti adatti per farlo. Eppure, l’emendamento relativo all’Ilva inserito nel disegno di legge Competitività (approvato ieri sera dal Senato con 159 sì ed un solo no), ai nostri occhi dopo attenta lettura pare una brutta copia del decreto Ilva approvato lo scorso febbraio all’interno della legge sulla “Terra dei Fuochi” e della legge sul commissariamento dell’Ilva dell’agosto dello scorso anno.
Nel testo di modifica approvato ieri sera infatti, all’articolo 22 bis ci sono le “varianti” introdotte dal “duro” lavoro di questi giorni delle commissioni Ambiente e Industria del Senato: la prima “novità”, prevede la figura di un sub commissario con portafoglio (lo stesso era previsto dal decreto legge 61/2013 sul commissariamento, nel quale ere previsto che “il compenso del sub commissario è determinato nella misura del 50 per cento di quella fissata per il commissario”), che sovrintenda gli interventi ambientali “aggiornandolo (il commissario) ogni trimestre e con rendicontazione delle spese e degli impegni di spesa; dispone (il sub commissario) altresì i pagamenti con le risorse rese disponibili dal commissario straordinario”. In pratica, né più né meno di quanto già non facesse l’ex sub commissario Edo Ronchi. Che ha visto anche esaudite alcune sue richieste, come l’introduzione di alcuni vincoli stretti nelle risposte da parte di istituzioni ed enti locali per rendere più rapidi gli iter burocratici per l’avvio degli interventi di risanamento.
Ma ciò che a noi più sconcerta, è il fatto che si dia ancora una volta per scontato che saranno trovate le risorse finanziarie per effettuare i lavori previsti dal piano ambientale. Negli ultimi giorni, specialmente da parte del Partito Democratico, sono state espresse parole di giubilo sull’argomento. Grazie al fatto che nell’emendamento sull’Ilva è stato previsto, così come peraltro già previsto nella legge del 6 febbraio scorso ed in quella del commissariamento dell’agosto 2013, l’utilizzo dei fondi sequestrati alla famiglia Riva da parte della Procura di Milano (eventualità salutata con grande soddisfazione da parte della politica locale all’epoca, ma che “stranamente” non è stato possibile sin qui attuare). Questa volta però, si è voluto giocare “di fino” con le parole, in modo tale che la gente possa capire il meno possibile ciò di cui si sta realmente parlando. La strada migliore, in politica, per far passare il messaggio che si stia facendo di tutto per “risolvere” la vicenda Ilva, coniugando il rispetto del “diritto alla salute con il diritto al lavoro”.
In pratica, il “nuovo” testo sull’Ilva prevede che “qualora sia necessario ai fini dell’attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell’impresa soggetta a commissariamento, non oltre l’anno 2014, il giudice procedente trasferisce all’impresa commissariata, su richiesta del commissario straordinario, le somme sottoposte a sequestro penale”.
Una specie di imperativo categorico che, attualmente, è da un punto di vista giurisprudenziale inapplicabile, visto che quelle somme rientrano in un filone d’inchiesta il cui processo deve ancora vedere la luce (visto che, tra l’altro, la Procura di Milano e la Guardia di Finanza sono ancora alla ricerca di tutte le risorse finanziarie che i Riva hanno portato via dall’Italia nel corso degli anni): indi per cui, a meno che non è stato cambiato il codice penale nelle ultime ore, sino all’ultimo grado di giudizio in Italia vige la presunzione d’innocenza. E come abbiamo scritto decine di volte su queste colonne, utilizzare quelle risorse (800 milioni di euro sugli oltre 1,2 miliardi individuati, dei quali solo 400 sono confluiti nel Fondo Giustizia Italiano, mentre gli altri pare siano ancora bloccati in Svizzera) adesso, esporrebbe lo Stato ad un sicuro ricorso dei legali del gruppo Riva ed alla probabile beffa di un maxi risarcimento.
Ma il vero “colpo di genio” è un altro. Leggiamo insieme: “Le somme devono essere trasferite a titolo di sottoscrizione di aumento di capitale, ovvero in conto futuro aumento di capitale nel caso in cui il trasferimento avvenga prima dell’aumento di capitale”. Inoltre “il sequestro penale sulle somme si converte in sequestro delle azioni o delle quote che sono emesse; nel caso di trasferimento delle somme sequestrate prima dell’aumento di capitale, in sequestro del credito a titolo di futuro aumento di capitale”. Avete capito? Siccome l’aumento di capitale autorizzato con la legge dello scorso 6 febbraio non è stato sin qui realizzato (e bisogna vedere se mai lo sarà), si è pensato bene di attuarlo utilizzando le “risorse/azioni” sequestrate e da sequestrare ai Riva.
Del resto, è bene ricordare che il gruppo Riva che detiene ancora l’87% delle azioni dell’Ilva Spa: il 61,62% appartiene alla Riva FIRE, mentre il 25,38% è detenuto dalla holding lussemburghese Siderlux (posseduta a sua volta dalla stessa Riva FIRE). Non solo. Perché qualora non si possano ottenere i soldi in forma liquida, si procederà appunto al “sequestro” delle azioni del gruppo. Le quali, udite udite, “devono essere intestate al Fondo Unico di Giustizia e per esso al gestore ex lege del Fondo Unico Giustizia”, che è un fondo a disposizione del governo italiano, gestito da Equitalia Giustizia S.p.A.
Istituito con l’art. 61, comma 23, del Decreto Legge 112/08 convertito in Legge 133/08, per ricevere le somme di denaro e gli altri proventi relativi a titoli a portatore, crediti pecuniari, conti correnti, libretti di deposito, etc., ed ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale sequestrati e/o confiscati nell’ambito di procedimenti penali, dell’applicazione di misure di prevenzione o di irrogazione di sanzioni amministrative. Nel quale confluiscono anche somme sequestrate dall’Agenzia delle Dogane e dalla Guardia di finanza nell’ambito delle attività di controllo sul denaro contante in entrata e in uscita ai confini comunitari, i depositi giacenti da 5 anni presso Poste e banche nell’ambito dei processi civili e non reclamati e le somme che, al termine delle procedure fallimentari, non saranno state riscosse dai creditori.
Bene. Ciò che non dicono i nostri politici però, è che solo il 25% delle risorse confluite in questo fondo è effettivamente utilizzabile: il restante 75% a titolo precauzionale rimane infatti conferito nel Fondo fino al termine del procedimento, per far fronte ad eventuali cambiamenti delle sentenze nei vari gradi di giudizio. Esattamente quello che potrebbe accadere nel nostro caso.
Non solo. Perché si vuol sequestrare le azioni ad un gruppo che secondo quanto previsto dalla legge 89 dell’agosto 2013, al termine del commissariamento tornerà ad essere proprietaria dell’Ilva. Dunque, nel caso in cui non vi sarà nessun nuovo ingresso nel capitale sociale dell’azienda, si sequestrano le azioni al gruppo Riva, si effettuano (almeno nelle intenzioni) quei lavori che loro stessi avrebbero dovuto effettuare nel corso degli ultimi 20 anni, per poi restituirgli uno stabilimento “ammodernato”.
Ma non basta. Perché se “l’azione” del governo sembra essere indirizzata verso un’esclusione del gruppo Riva dalla gestione dell’Ilva, così assolutamente non é. A confermalo, lo stesso commissario straordinario Piero Gnudi in un’intervista rilasciata al “Sole24Ore”, nella quale ha candidamente affermato che “non abbiamo alcuna intenzione di estromettere dall’operazione Ilva la famiglia Riva. Salvare l’azienda conviene a tutti: a Taranto, al governo, all’Italia e anche alla famiglia Riva”. E secondo voi il gruppo Riva potrebbe mai accettare che, nello stesso tempo, gli si sottraggano le azioni dell’Ilva Spa e poi lo si inviti a partecipare al famoso aumento di capitale? Restando nell’azionariato dell’azienda?
Per non parlare poi della “teoria delle teorie” espressa sempre dal buon Gnudi: “Chiunque sia il compratore dovrà garantire i lavori per l’ambiente e il mantenimento della dimensione occupazionale”. In pratica noi dobbiamo credere alla favola che nel mondo vi siano uno o più gruppi industriali, pronti non solo ad acquistare l’Ilva di Taranto, ma anche e soprattutto ad effettuare lavori di risanamento per miliardi di euro ed in più per nulla riluttanti ad accollarsi oltre 20mila stipendi (contando anche gli stabilimenti Ilva sparsi in Italia). Se non siamo di fronte ad un “delirium tremens” generale, poco ci manca.
Sì, avete ragione. Del problema ambientale e quindi sanitario non abbiamo proprio parlato. Non per nostra volontà, ovviamente. Ma perché semplicemente nel nuovo provvedimento ‘salva Ilva’, la questione viene trattata con un tale pressapochismo che c’è poco da dire. Detto dell’ulteriore spalmatura in merito all’attuazione temporale della maggioranza degli interventi (luglio 2015), desta perplessità il fatto che dell’80% dei lavori da svolgere, non è stato indicato alcun ordine di importanza ed urgenza. Il tutto sarà infatti a discrezione dell’azienda. Inoltre, non vi è alcuna garanzia del fatto che le somme di cui l’azienda potrà disporre, saranno poi effettivamente utilizzate per realizzare gli interventi previsti. Stando così le cose, siamo noi che non capiamo o siamo di fronte all’ennesima ridicola farsa? Ai lettori ed ai posteri più prossimi, l’ardua sentenza. Buon weekend.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 26.07.2014)
Ps: Stendiamo un velo pietoso su quanto invece avvenuto ieri mattina. “Buon lavoro. L’Ilva è strategica non solo per Taranto”: questo l’ennesimo cinguettio su twitter del premier Matteo Renzi, in risposta ad un utente, Cosimo, che gli aveva scritto: “Io lavoro in Ilva sperando che resti aperta”. Poveri noi.