Ilva, Fabio Riva condannato in primo grado
TARANTO – I giudici della terza sezione penale del Tribunale di Milano hanno condannato Fabio Riva, ex vicepresidente del gruppo Riva FIRE e attualmente in libertà vigilata a Londra (vi resterà almeno sino al prossimo mese di novembre, quando le autorità inglesi si pronunceranno sul ricorso dei legali sull’ok all’estradizione pronunciato lo scorso febbraio), a sei anni e mezzo di reclusione per associazione per delinquere e per truffa ai danni dello Stato, al termine del processo di primo grado sulla presunta truffa attuata dal gruppo Riva attraverso l’Ilva Spa. Secondo l’accusa, la società avrebbe ricevuto contributi della Simest (una controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti) finalizzati all’export senza averne diritto.
Condanne anche per Alfredo Lo Monaco, amministratore della società svizzera Eufintrade Sa a cinque anni di carcere e Agostino Alberti, ex dirigente di Ilva Sa (una società svizzera del gruppo Riva), a tre anni. Condannata anche la holding di famiglia Riva FIRE, imputata in base alla legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti: la società dovrà pagare una multa di 1,5 milioni di euro.
Per i tre imputati e per la società è stata inoltre disposta anche la confisca di 90,8 milioni di euro. Tutti, in solido, dovranno anche versare una provvisionale di 15 milioni di euro al ministero dello Sviluppo economico. Inoltre, i giudici hanno stabilito che la Riva FIRE non potrà ricevere finanziamenti, sussidi e agevolazioni dallo Stato per un anno. Né potranno essere versati i contributi già deliberati dala Simest in favore dell’Ilva Spa, con il gruppo Riva dovrà rimborsare i contributi già ricevuti. Accolte, dunque, tutte le richieste della Procura di Milano.
I pm Stefano Civardi e Mauro Clerici avevano chiesto per Fabio Riva e Lo Monaco una condanna a 5 anni e 4 mesi, e per Alberti a 3 anni e 4 mesi. La procura aveva anche chiesto la confisca a Riva FIRE e ai tre imputati di 91 milioni di euro complessivi e una multa di 2,25 milioni per la sola holding. Il sistema scoperto dai pm milanesi, prevedeva lo sfruttamento dei contributi all’esportazione previsti dalla Legge Ossola, tramite fondi pubblici erogati dalla Simest. Le agevolazioni concesse alle aziende servono per coprire le perdite che le società esportatrici sostengono per aver concesso dilazioni di pagamento all’acquirente estero. Il sostegno viene applicato solo per le esportazioni di beni d’investimento e fino all’85% del valore dei prodotti venduti.
Per ottenerli, i Riva avevano creato un’apposita società, la svizzera Ilva Sa, che acquistava tubi per oleodotti e metanodotti dall’Ilva Spa e li rivendeva, allo stesso prezzo, ad alcune società estere. Così facendo l’Ilva Spa concedeva all’Ilva Sa una dilazione di pagamento di 5 anni, ottenuta la quale la consociata svizzera i faceva però pagare immediatamente dagli acquirenti esteri: in modo tale da incassare in 90 giorni sempre l’intero valore. Ed è qui che entrava in gioco la Eufintrade.
L’Ilva Spa portava alla finanziaria svizzera le cambiali internazionali (promissory notes) ricevute da Ilva Sa come pagamento delle forniture di tubi e la Eufintrade le scontava: pagando cioè a Ilva il valore della vendita meno una percentuale. In questo modo Eufintrade incassava il 15% dei contributi erogati dalla Simest. Il sistema sarebbe andato avanti dal 2003 a pochi mesi fa. Il profitto totale ammonterebbe a 121 milioni di dollari più 18 milioni di sterline: oltre 100 milioni di euro. A perderci sia lo Stato, che erogava contributi non dovuti, che le altre imprese esportatrici che concedevano le dilazioni ma che non hanno mai incassato le agevolazioni perché i fondi stanziati dallo Stato erano finiti.
“Nel dicembre 2006 Fabio Riva ci ha convocati per una riunione, dicendo che avrebbe costituito una società svizzera per commercializzare tubi”, spiegò l’imputato Alberti durante l’esame in aula dello scorso 9 giugno, interrogato dal pm milanese Stefano Civardi e dai legali degli imputati e delle parti civili. “Io mi occupavo della contabilità – affermò Alberti – mentre altri si occupavano della ‘legge Ossola’, rapportandosi direttamente con Fabio Riva”. Le erogazioni da parte di Simest, società controllata dalla Cassa depositi e prestiti, “avvenivano” ma, sottolineò l’imputato, “i dati non erano di mia competenza”. Quel giorno venne ascoltato in aula anche l’altro imputato, Alfredo Lomonaco.
Intanto, l’Ilva di Taranto attende di conoscere il suo destino. Secondo il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, sarebbero in arrivo quattro-cinque manifestazioni di interesse a livello internazionale, “compresa quella di ArcelorMittal, ma anche di aziende italiane”. Il ministro ha parlato a margine della conferenza stampa al termine del consiglio informale Ue dei ministri dell’Industria. “L’esigenza primaria è di mettere in sicurezza la liquidità immediata. Stabilizzando l’azienda e proiettandola verso una nuova compagine azionaria con una soluzione industriale”. Il tutto mentre il commissario straordinario Piero Gnudi continua la trattativa con Unicredit, Intesa e Banco Popolare, per ottenere il prestito ponte previsto dall’ultimo decreto ‘salva Ilva’. “Stiamo trattando: probabilmente l’intervento sarà inferiore, ma la disponibilità delle banche c’è” ha dichiarato Gnudi sul prestito di 650 milioni richiesto alle banche. “Quella è la cifra per raggiungere certi obiettivi, ridimensionandone alcuni si riduce anche la cifra”, ha spiegato, aggiungendo: “Se mi danno 650 milioni, io sono contento”. I tempi, però, restano stretti: “Quando chiuderemo? Rapidamente, entro il mese di agosto”. Staremo a vedere.
E proprio sul futuro del siderurgico e sull’attuazione del piano ambientale, si è svolto ieri a Taranto, l’ennesimo incontro inutile convocato dal Sindaco Ippazio Stefàno, a cui hanno preso parte la Giunta, il governatore della Puglia Nichi Vendola, i sindacati e Confindustria. Tutti hanno convenuto sulla necessità di pressare l’esecutivo, per risolvere i problemi economici e ambientali dell’Ilva. In pratica tutti i protagonisti principali del disastro socio-economico-sanitario di Taranto, sono ancora lì, tutti al loro posto, a parlarsi addosso facendo finta di non sapere dove sia di casa la verità. Chapeau.
Gianmario Leone (TarangoOggi, 22.07.2014)