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Ilva: e se arrivasse un nuovo sequestro?

C’è una strana aria intorno all’Ilva. Per una volta però, non stiamo parlando di emissioni inquinanti. Una serie di voci provenienti da dentro e fuori la fabbrica, di eventi succedutisi nel giro di pochi giorni, hanno fatto drizzare la antenne a più di qualcuno. Come ad esempio la visita dei giorni scorsi da parte dei custodi giudiziari della procura di Taranto e del NOE e, soprattutto, la delega del GUP Wilma Gilli al gip Patrizia Todisco sulle eventuali valutazioni delle relazioni che saranno redatte.

E poi ancora, la fermata del reparto CCO5 (Colata Continua) dell’acciaieria deciso dall’azienda (dopo le denunce della Uilm che parlavano di intossicazione di alcuni operai causa emissioni riportate dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Taranto negli ultimi giorni) e, per finire, la tempistica per riparare il nuovo danno subito dalla CET 2 (una delle centrali termoelettriche gestite dalla Taranto Energia): venti giorni, con conseguenze fermate a scacchiera dei tre altiforni (AFO 2, AFO 4 e AFO 5) e dell’acciaieria, e quindi con la conseguente diminuzione dell’attività produttiva del siderurgico, invece dei tre giorni che servirono per riparare un danno simile alla stessa centrale verificatosi nel marzo scorso. Il guasto c’è, ma l’entità è sospetta. O quanto meno non è ancora chiara.

Il sentore che qualcosa possa accadere a stretto giro di posta dunque, non è così peregrino. Come confidano alcune fonti interne alla fabbrica, anche appartenenti al panorama sindacale (nel quale più di qualcuno sospetta di una soffiata partita dalla Procura per “avvisare” i dirigenti Ilva di una prossima mossa della magistratura: il che avrebbe “consigliato” la fermata della colata 5 dell’acciaieria e del lungo stop previsto per riparare il danno alla CET 2).

A tutt’oggi però, nessun nuovo provvedimento dell’autorità giudiziaria è ancora stato notificato, ma il timore che ciò possa verificarsi a breve (a quasi due anni dal sequestro degli impianti dell’area a caldo del 26 luglio 2012) c’è, inutile nasconderlo.

E se questa volta un nuovo sequestro potrebbe avere effetti devastanti e definitivi sulla sopravvivenza dell’Ilva, è altrettanto vero che un’iniziativa di questo genere poggerebbe su motivazioni ancora più solide di quelle di due anni fa, ammesso e non concesso che quelle non fossero già di per sé profondamente esaustive per chiudere per sempre il ciclo integrale inquinante del più grande siderurgico d’Europa. Ci riferiamo ai lavori previsti sugli impianti dell’area a caldo che, se non per qualche raro esempio, di fatto non sono mai partiti. L’AIA del 2012, che aveva riesaminato la precedente dell’agosto 2011, è stata ulteriormente rivista dal piano ambientale redatto dagli esperti del ministero dell’Ambiente, approvato soltanto lo scorso aprile: e nell’ultimo decreto ‘salva Ilva’ della scorsa settimana, la tempistica inerente la conclusione dei lavori, è stata nuovamente posticipata. Tutto ciò potrebbe rappresentare una motivazione più che sufficiente per far scattare nuovi provvedimenti giudiziari, a causa del mancato rispetto della legge.

Del resto, nella stessa sentenza della Corte Costituzionale dello scorso anno, quella nella quale di fatto si confermava la validità della prima legge salva Ilva del dicembre 2012 del governo Monti, la continuità produttiva dell’Ilva era legata indissolubilmente all’effettuazione dei lavori previsti dall’AIA. Sia chiaro, siamo soltanto alle semplici voci, ma qualcosa nell’aria c’è. E non promette nulla di buono.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.07.2014)

 

 

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