Eppure per 738 giorni Julia resiste. Al vento, alla pioggia, al freddo, alle tempeste naturali e ai tormenti interiori. Tanto tempo a disposizione, da sfruttare per mettere insieme i cocci di una vita che solo pochi mesi prima l’aveva costretta a porsi domande inquietanti. Lo fa per Luna, l’albero a cui ha deciso di dedicare la sua battaglia più estrema. Lo fa per salvare le foreste dalla mano aggressiva delle industrie e dell’uomo. Lo fa per se stessa. Perché non c’è atto compiuto nella vita che non abbia una valenza personale. Dopo l’incidente, per quasi un anno, ha dovuto sottoporsi a cure intensive.
Partita dall’Arkansas con un gruppo di amici ha deciso di raggiungere la costa occidentale. Il viaggio è il pretesto per trovare un nuovo senso alla sua esistenza e al dolore patito. Esigenza nata dalla consapevolezza di quanto prezioso sia ogni istante della vita. L’incontro con Luna, il gigantesco albero dal destino segnato, rappresenta la svolta auspicata. Lo occupa per fermare le seghe circolari della Pacific Lamber, l’azienda che ha sottoscritto un accordo con le autorità che le permette di distruggere un patrimonio dal valore inestimabile. In nome del profitto.
“Salii su Luna – racconterà in una delle tante interviste rilasciate – pensando di restarci tre settimane o un mese al massimo e mi resi conto che la gente deve immedesimarsi in un’altra persona per capire le cose che non la riguardano direttamente. Dovevo mettere a rischio la mia vita, fisicamente, proprio come avveniva a Luna, perché la gente potesse capire la sua situazione”. E poco importa se gli agenti di sicurezza e gli elicotteri schierati dalla Pacific Lamber tentano di impedire il passaggio dei rifornimenti. La sua ostinata permanenza su una precaria piattaforma, posta a sessanta metri di altezza, sortisce gli effetti desiderati.
Il 16 luglio del 2002, viene arrestata a Quito (Ecuador) per aver protestato contro il progetto di un oleodotto che avrebbe raso al suolo centinaia di alberi di una foresta vergine andina. Nel 2003 sostiene il reindirizzamento fiscale donando 150mila dollari di tasse federali non pagate in favore di programmi culturali, giardini, nativi americani, alternative alla carcerazione e progetti di tutela ambientale. La sua attività prosegue senza sosta, anche dopo aver girato la boa dei 40 anni.
“Quando siamo testimoni di un’ingiustizia spesso non facciamo nulla perché abbiamo paura di perdere qualcosa, l’approvazione degli altri, per esempio; abbiamo paura di essere derisi o criticati; abbiamo paura di perdere le nostre comodità e i nostri agi – spiega Julia- la disobbedienza civile è uno degli strumenti più efficaci in tutti i campi, dal sociale all’ambientale. Significa riconoscere che le leggi sono fatte da esseri umani, che, in quanto tali, possono commettere errori. Vivere in basi a leggi ingiuste vuol dire consentire che vengano perpetrate ingiustizie. Prendere posizione in favore di leggi superiori è la strada per ottenere un cambiamento. Ed è proprio con la disobbedienza civile che è stata realizzata la maggior parte dei cambiamenti nella storia dell’Umanità”.
A chi le domanda se ne vale ancora la pena proseguire sulla strada intrapresa lei risponde così: “A volte mi chiedo se la distruzione non è ormai andata troppo oltre, se possiamo ancora verosimilmente fare qualcosa per salvare le nostre foreste e il nostro pianeta. Ma nonostante tutto so che non posso smettere. Dobbiamo fare la cosa giusta perché va al di là del risultato. Devo impegnarmi in una lotta alla volta”. D’altronde possiamo essere giornalisti, magistrati, professori, politici, scrittori, ma c’è una verità che dovrebbe essere condivisa da tutti, e non solo da qualche mosca bianca: “Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità” (“Un uomo”, Oriana Fallaci).
Alessandra Congedo
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