Ilva, un’ordinanza inutile e ipocrita

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ILVA NUOVATARANTO – Il giochino è sempre lo stesso. Fingere di fare qualcosa a “difesa” della città e “contro” la grande industria. E ciò che ha provato a fare ancora una volta il Sindaco Ippazio Stefàno con l’ordinanza n. 39 del 20 giugno scorso. Stando infatti ad alcuni accertamenti svolti da ARPA Puglia in un sopralluogo eseguito il 16 gennaio scorso, il Sindaco ha firmato un’ordinanza sindacale con la quale impone all’Ilva di “avviare entro 30 giorni, di concerto con ARPA Puglia e ASL Taranto, le attività volte alla realizzazione di un idoneo sistema di captazione e trattamento dei vapori derivanti dal raffreddamento della ghisa”. Dall’accertamento, si legge nell’ordinanza, sono emerse “criticità legate alla liberazione in atmosfera di inquinanti ed alla presenza di scarichi non regolamentati in AIA”. La granulazione della ghisa è un’operazione che serve a fronteggiare i disservizi legati alla temporanea impossibilità delle acciaierie di assorbire la ghisa prodotta dagli altiforni o a seguito di difformità rispetto agli standard qualitativi della stessa. Ma il “raffreddamento del prodotto con l’ausilio dell’acqua di mare – si legge ancora nell’ordinanza – produce emissioni in atmosfera di vapori non captati e/o trattati, nonché scarichi idrici nel canale Ilva di acque oggetto di sola decantazione”. E questa, sarebbe una “pratica operativa ordinaria e non già un’attività di natura incidentale per la gestione di un’occasionale attività di processo”. Tali eventi, “come già evidenziato da ARPA, sono stati quantificati dalla stesso gestore in 24 accadimenti solo nel 2013”.

La vicenda, a nostro modo di vedere, finirà nell’ennesima bolla di sapone. O, se volete, nell’ennesima vittoria al TAR di Lecce per l’azienda. Perché è praticamente scontato il ricorso dell’Ilva nei confronti dell’ordinanza del Sindaco. Una replica rispetto a quanto accaduto nel 2010 con l’ordinanza in cui si ordinava l’immediata riduzione del benzo(a)pirene e con quella del 2012 in cui si ordinava all’azienda “l’installazione sul camino E312 dell’impianto di agglomerazione di un sistema di campionamento di lungo periodo, idonee ed efficienti modalità di contenimento del sistema di scarico delle polveri abbattute dagli elettrofiltri ESP e MEEP a servizio del camino E312 dell’impianto di agglomerazione AGL 2, l’avvio con immediatezza delle attività finalizzate alla realizzazione di un adeguato sistema di abbattimento polveri relativo alle acciaierie con obbligo di comunicare il crono programma entro 15 giorni”. In entrambi i casi, il Sindaco travalicò quanto in suo potere, in quanto lo stesso non può obbligare ad adottare delle misure (campionamenti emissioni, contenimento delle polveri) che sono di esclusiva pertinenza dell’AIA: il governo e per esso il ministero dell’Ambiente o la Regione.

Questa volta invece, l’operazione richiesta non rientra nelle prescrizioni AIA. Ecco perché si chiede entro 30 giorni di avviare “un monitoraggio ambientale degli inquinanti aerodispersi nei reparti AFO/SAF e OME/MUA (CCO), concordando con ARPA Puglia e ASL di Taranto tempi, modalità e obiettivi del medesimo”. Il che significa che i 30 giorni serviranno, nel caso, a discutere con ARPA ed ASL e non certamente ad avviare alcun monitoraggio. Inoltre appare del tutto fuori luogo la richiesta in merito alla “realizzazione di un idoneo sistema di raccolta e trattamenti delle acque meteoriche, di dilavamento e di raffreddamento della ghisa”, visto che secondo il Piano Ambientale approvato dal Consiglio dei Ministri, il piano delle acque dello stabilimento dovrà essere presentato entro maggio 2015.

Infine, l’aspetto che per quanto ci riguarda è il più importante e rilevante. L’ordinanza, si legge, viene emessa “attesa la situazione di pericolo che si vuole scongiurare unita all’urgenza ed eccezionale necessità di tutela della salute pubblica”. Se dunque il Sindaco ritiene che i cittadini vivano una situazione di pericolo, la legge gli consente di intervenire direttamente alla radice del problema: ovvero chiudendo l’Ilva fermando l’attività produttiva. Punto. Non ci sono tanti giri di parole da fare. Del resto, l’Ilva non ha mai rispettato la tempistica prevista dalle prescrizioni AIA.

Dunque si potrebbe far scattare l’articolo 8 comma 2 della direttiva 75/2010 (che riguarda il fermo degli impianti per non osservanza dell’AIA: del resto anche la Corte di Cassazione sostenne che solo a fronte del non rispetto dell’AIA la magistratura avrebbe potuto di nuovo imporre il fermo dell’attività produttiva dell’Ilva). Certo, ci sono le leggi ‘salva Ilva’ che hanno annacquato i tempi e che hanno di fatto blindato la posizione dell’azienda all’interno del limbo del commissariamento. Ma se si vuol lanciare un messaggio chiaro al governo, alle banche, al mondo finanziario ed economico italiano ed internazionale, questa è l’unica strada da seguire. Dire una volta e per tutte come la si pensa, esprimendo un “no” secco alla presenza attuale e futura della grande industria sul territorio. Mettendo al primo posto il diritto alla vita ed alla salute di ogni singolo cittadino. Tutto il resto, sono operazioni farlocco. E chiacchiere da bar. Che non fanno ridere più nessuno.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 23.06.2014)

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