Poi, il 19 settembre 2011 il ministro dell’Ambiente dell’epoca, Stefania Prestigiacomo, firmò il decreto di pronuncia di compatibilità ambientale al progetto. Per ultima, non certamente per importanza, il 6 dicembre 2011 anche la Regione Puglia espresse parere favorevole di compatibilità ambientale. Qualche mese prima, anche se oggi fanno finta di non ricordarlo, ci fu l’ok di Comune e Provincia (anche se furono i sindacati a battere tutti sul tempo esprimendo il loro sì incondizionato e a priori al progetto un anno prima, nel 2010).
Il 23 marzo 2012 arrivò anche l’approvazione definitiva al progetto da parte del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economia). Oggi, a metà 2014, i nostri politici recitano la parte di chi vuole “vederci chiaro”. Di chi non è più disposto a dire sempre e solo di sì alla grande industria. Sarà. Viene da chiedersi dove sono stati negli ultimi 4 anni. Se hanno mai sfogliato un giornale locale. Se si sono presi la briga di leggersi anche solo la prima pagina dei tanti documenti presenti da anni sul sito ufficiale del ministero dell’Ambiente. Se hanno mai avuto tra le mani i documenti Eni, tra cui la Sintesi non tecnica, in cui il progetto “Tempa Rossa” riguardante la raffineria di Taranto è spiegato nei minimi dettagli.
I lavori previsti
E’ bene ricordare che l’“Adeguamento stoccaggio del greggio proveniente dal giacimento Tempa Rossa”, consisterà nella costruzione di diverse opere, tra cui quella di un nuovo impianto pre-raffreddamento greggio e di due nuovi impianti di recupero vapori a integrazione dell’esistente: uno per la gestione dei vapori da caricamento greggio Tempa Rossa e uno per la gestione dei vapori da caricamento greggio Val d’Agri. Il progetto prevede la “Progettazione e realizzazione delle opere marine previste per l’ampliamento del terminale petroliferosito nel Mar Grande di Taranto”. Questo avverrà innanzitutto attraverso il prolungamento del pontile esistente e con la realizzazione di una terza piattaforma d’attracco per la spedizione di prodotti petroliferi, e delle relative strutture di ormeggio.La lunghezza del prolungamento (struttura carrabile) sarà di 355 metri; inoltre, è prevista la realizzazione di passerelle di collegamento tra la struttura principale e le briccole di ormeggio esterne, per un’ulteriore lunghezza di 160 m.
L’estensione del pontile esistente sarà comprensiva di una nuova piattaforma di carico provvista di due accosti per l’attracco di navi da 30.000 DWT non allibate e da 45.000 DWT e 80.000 DWT parzialmente allibate;da 4 briccole di accosto e 6 di ormeggio, corredate di ganci a scocco e cabestani; da un sistema antincendio acqua&schiuma e vie di fuga; da un sistema di raccolta dreni idrocarburi; da un sistema di raccolta acque meteoriche e da un sistema di drenaggio bracci mediante azoto.Su ciascun accosto è prevista inoltre l’installazione dei necessari bracci di carico greggio, braccio recuperovapori, bracci per il carico del Bunker/Marine diesel, dispositivo per controllo velocità di accosto,torre munita di scala di collegamento con la nave.
Così come dovrebbero sapere che lo scorso 31 marzo, l’Eni ha presentato al Ministero dell’Ambiente l’istanza per l’avvio della procedura di Verifica di Assoggettabilità a VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) del progetto “Piano di Utilizzo terre e rocce da scavo”. A seguito delle attività di caratterizzazione effettuate nel 2011, è stata infatti rilevata una variazione dei quantitativi di terreno contaminato da 650 m3 a 30.000 m3, pertanto devono essere modificate le modalità operative di gestione delle terre e rocce da scavo precedentemente definite nell’ambito della procedura di VIA.
L’impatto ambientale
Ma tutto questo si sa da oltre quattro anni. Sentirsi dire che ieri i dirigenti Eni hanno “informato” i nostri dei dettagli tecnici, lascia davvero basiti. Per non parlare del fatto che nella riunione di ieri, pare che i nostri abbiano recitato la parte del leone, chiedendo come non vi sia un ulteriore impatto ambientale da parte dell’Eni. Se in questi quattro anni avessero letto le carte, saprebbero certamente che la raffineria sarà un semplice punto logistico di base: un contenitore di petrolio grezzo da stoccare, che sarà poi trasportato dalla nostra raffineria alle altre presenti sul territorio italiano o estero.
Ma saprebbero anche che questo progetto produrrà un 12% in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre per il fatto che si disperdono in atmosfera senza l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall’interno verso l’esterno. Emissioni diffuse che rientrano nella normativa sull’inquinamento prodotto dagli impianti industriali, emanata con D.P.R. 24 maggio 1998 n. 203, che all’art. 2, comma 4 recita testualmente: “Emissione, ovvero qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico”.
Dato che l’Eni non smentisce, anche se nel SIA (Studio d’Impatto Ambientale) la percentuale scende all’8%, dato che venne anche confermato da ARPA Puglia. E saprebbero anche che, sempre all’interno dello Studio d’Impatto Ambientale, è sempre mancata l’analisi di rischio di incidente rilevante, necessaria specialmente in funzione del fatto che nella rada di Mar Grande aumenterà dalle attuali 40 ad un massimo di 133 il transito di petroliere.
Magari, se fossero stati davvero sensibili alla tematica ambientale, avrebbero potuto appoggiare ed aiutare negli anni il comitato ‘Legamjonici’, che nel silenzio generale (in particolar modo del movimento ambientalista locale) ha seguito sin dagli arbori la vicenda. Già nel marzo del 2012 infatti, il Parlamento europeo avviò un’inchiesta, chiedendo alla Commissione Europea di svolgere un’indagine preliminare sui vari aspetti del problema, proprio grazie alla denuncia presentata da Legamjonici. Il comitato evidenziò “la violazione della direttiva Seveso, una valutazione di impatto ambientale approssimativa, l’assenza di uno studio sull’effetto domino per la costruzione di due nuovi serbatoi della capacità di 180.000 m3 accanto agli impianti già esistenti, aumento delle emissioni diffuse e fuggitive, nuovo rischio di sversamento di greggio in Mar Grande per la manipolazione e trasporto di greggio”.
Compensazioni ambientali
E visto che parliamo di memoria storica, è forse il caso di ricordare che l’11 gennaio del 2012 si riunirono sempre in gran segreto all’interno di Palazzo di Città, l’amministrazione comunale, quella provinciale e i dirigenti Eni “per un primo approfondimento sulle compensazioni ambientali legate agli investimenti ENI nell’area di Taranto”, che come confermò il sindaco Stefàno riguardavano solo il progetto “Tempa Rossa”.
Durante quella riunione si chiarì come tutti gli interventi, così come previsto dalla normativa applicabile (parliamo della legge Marzano, “Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”, e che prevede nell’art. 1 comma 4, misure di compensazione e di riequilibrio ambientale, proprio in presenza di importanti infrastrutture energetiche ad elevato impatto territoriale, pensata ad hoc per favorire le aziende in tema di compensazioni, che si attestano intorno all’1% sull’importo del progetto previsto da un’azienda) sarebbero stati destinati a compensazione di carattere ambientale. Si parlò della “metanizzazione delle scuole gestite dalla parte pubblica, di mezzi di trasporto e servizi pubblici oltre che la solarizzazione di edifici scolastici e ambientalizzazione delle attività portuali ENI”. Furono previsti inoltre non meglio precisati “interventi sempre nello spirito delle compensazioni ambientali che saranno destinati a sostegno di situazioni sociali di forte debolezza”.
Quanto sopra prevedeva un investimento totale di circa tre milioni per Eni “a cui – si leggeva nella nota del Comune – oltre al beneficio ambientale, si aggiungerà un risparmio per un minor costo di energia e di spesa per l’acquisto del gasolio per circa un milione l’anno per le amministrazioni pubbliche. I rappresentanti delle due amministrazioni hanno richiesto, oltre le compensazioni, di sostenere le attività sportive di eccellenza in terra ionica”. Al riguardo l’Eni si riservò di avviare una verifica. E ieri, al termine della prima delle tre riunioni in programma, tra le tante altre cose, ci è stato detto che con i dirigenti Eni è stato anche affrontato anche e soprattutto il tema di non meglio precisati “ritorni” alla città. Tutto esattamente uguale a quanto verificatosi già oltre due anni fa.
Il presunto ritorno occupazionale
Pare inoltre che nella riunione di ieri, i nostri abbiano anche chiesto precise garanzie all’Eni sull’impiego di lavoratori tarantini nel cantiere che sarà aperto per i prossimi tre anni. Una richiesta, anche questa, leggermente fuori luogo. Perché sempre se si fossero documentati per tempo, i nostri saprebbero che la società svizzera ABB, gruppo leader nelle tecnologie per l’energia e l’automazione, si è aggiudicata da anni un ordine del valore di 40 milioni di dollari per estendere il terminale di esportazione della raffineria Eni di Taranto. L’ordine è stato registrato nel quarto trimestre del 2012. L’ABB infatti vinse il bando di gara “Progetto Tempa Rossa Impianti Off-Shore” pubblicato sul supplemento della Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (del 04.02.2011). La fine dei lavori è prevista per agosto 2015.
Il progetto sarà realizzato dal “Centro di Eccellenza per gli impianti oil and gas” di ABB in Italia, che sarà responsabile dell’ingegneria, dell’approvvigionamento e della costruzione (EPC) del nuovo impianto, inclusa la gestione generale del progetto e il pre-commissioning (il processo che si attua per dimostrare la capacità di condutture e tubazioni dei sistemi di contenimento del prodotto senza perdite). Inoltre, ABB fornirà tutte le apparecchiature elettriche tra cui i quadri di bassa e media tensione, il sistema di controllo, la cabina elettro-strumentale, le apparecchiature meccaniche e di processo, il generatore diesel e il sistema antincendio. L’ABB è una multinazionale svizzera con sede centrale a Zurigo. Il gruppo è presente in Italia con oltre 5mila dipendenti dislocati in unità produttive ubicate nel Nord e nel Centro Italia, specialmente in Lombardia. Ai tarantini, ancora una volta, al massimo sarà subappaltato qualche lavoretto. E per l’impiego futuro di un’ottantina di addetti stabili, bisognerà vedere cosa accadrà.
La retromarcia “ambientalista” e il giochino sul Piano regolatore del porto
Poi è è arrivato il 2012, l’intervento della magistratura sul caso Ilva, è tutto è “cambiato”. Infatti in autunno, durante una seduta Consiglio comunale, attraverso un ordine del giorno, l’amministrazione comunale cambiò improvvisamente idea dichiarando il suo ‘no’ all’avanzamento del progetto “Tempa Rossa”. Un’operazione dal forte sapore opportunistico, visto che si era in piena bufera Ilva e si voleva mandare alla cittadinanza un segnale di “cambiamento”.
In realtà, il Comune ha semplicemente preso tempo. Tanto tempo. Sino a quando lo scorso 6 maggio al ministero delle Infrastrutture, si è svolta una riunione sul progetto, che trovava la sua ragion d’essere nel fatto che Total E&P Italia, Shell Italia E&P S.p.A. e “Mitsui E&P Italia S.r.l.” (che detengono in parti diverse la titolarità del progetto) si sono dette “stufe” di aspettare decidendo di fare pressione sul governo, affinché l’Eni possa iniziare i lavori, per un valore di 300 milioni di euro, previsti nella raffineria di Taranto.
Come abbiamo avuto più volte modo di riportare su queste colonne, il motivo del contendere è il Piano Regolatore del porto di Taranto: a gennaio al Comune fu chiesto di accelerare l’iter procedimentale per consentire alla Regione Puglia di approvarlo in via definitiva nel più breve termine possibile. Soltanto una volta approvato infatti, potrà partire ufficialmente il progetto “Tempa Rossa” in riva alla città dei Due Mari. In realtà, in merito al blocco del piano regolatore portuale, c’è una sorta di gioco al rimpiattino tra il Comune e la Regione: il sindaco sostiene che a Palazzo di Città attendono le decisioni da Bari, a cui è stato chiesto di evitare per il PRG del porto la VAS, la Valutazione ambientale strategica, avendola già fatta l’Autorità portuale.
Ma è altrettanto vero che per ottenere l’ok al piano regolatore portuale da Bari, la Regione Puglia, competente sugli strumenti urbanistici, ha bisogno della variante al piano regolatore generale da parte del Comune. Quest’ultima, infatti, deve essere approvata dal Consiglio comunale e pubblicata per eventuali osservazioni. Del resto, quando nel luglio dello scorso anno chiedemmo lumi ad alcuni componenti della Commissione Ambiente sulla vicenda, al termine di un’audizione a Palazzo Latagliata con l’ex direttore della raffineria di Taranto Settimio Guarrata, ci venne risposto che tutto era fermo proprio perché il Comune non aveva ottemperato a quanto di sua competenza in materia di piano regolatore portuale. Il tempo però, è scaduto. Ed il Comune, volente o nolente, dovrà dare l’ok al progetto.
Ciò detto, come abbiamo più volte ribadito su queste colonne già nel lontano 2012, non c’è più tempo per tornare indietro. Perché il progetto “Tempa Rossa”, che ha avuto da anni le autorizzazioni previste dalla legge, vede interessati due tra i più grandi gruppi petroliferi mondiali. Al fianco di TOTAL E&P Italia, figurano infatti anche la Shell (25%) e la giapponese Mitsui (25%), tra le compagnie di petrolio più importanti al mondo. Oltre a ciò, “Tempa Rossa” è l’unico progetto italiano considerato dalla banca d’affari Goldman Sachs, tra i 128 più importanti al mondo in fase di attuazione, “capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”. Al cospetto del quale i nostri rappresentanti politici sono piccoli come formiche.
Ps:stamane il Pd terrà una conferenza stampa sul progetto “Tempa Rossa”. Vi racconteranno che si stanno battendo a favore dell’ambiente di Taranto. Che non si piegheranno agli interessi dell’Eni e della grande industria. Voi, fategli credere che vi hanno convinto.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.06.2014)
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