Ma soprattutto a partire dal 1994 ha fatto parte del Cda dell’IRI, ricoprendovi (dal 1997 al 1999) l’incarico di sovrintendere alle privatizzazioni e (dal 1999 al 2000) la carica di presidente ed amministratore delegato; sempre presso l’IRI ha svolto (dal 2000 al 2002) le funzioni di presidente del comitato dei liquidatori. Nel ‘95 è stato consulente economico del ministro dell’industria del Governo Dini che concluse la privatizzazione dell’Ilva. Dunque, Gnudi ha recitato un ruolo importante nella privatizzazione dell’ex Italsider che il gruppo Riva acquistò nel 1995. Tra l’altro, in quegli anni l’Iri controllava l’Alfa Romeo, la Banca Commerciale Italiana, Finmeccanica, Fincantieri, Stet, Alitalia, la SME.
Non solo. Perché sino al novembre 2011 Gnudi ha fatto parte del Cda di Unicredit (una delle tre banche attualmente più esposte nei confronti dell’Ilva Spa, esposizione che secondo il report di ottobre scorso della Centrale rischi di Bankitalia ammonta a 200 milioni di euro) ed è stato anche membro del direttivo di Confindustria. L’uomo giusto al posto giusto, verrebbe da dire.
Del resto, il siluramento di Bondi (che ieri ha salutato i dipendenti con un comunicato di poche righe augurando loro “ogni bene e successo”, il che suona un po’ come una frase sinistra) da parte del governo è stata una mossa politica più che economica, specie dopo la bocciatura della proposta di piano industriale da parte del gruppo Riva, delle banche e di Federacciai. Bondi, infatti, aveva tra le altre cose previsto perdite per un miliardo di euro sino all’estate del 2016, termine di scadenza del periodo di commissariamento.
Per questo, a fronte di una situazione finanziaria alquanto critica dell’azienda (allo stato attuale il rischio che gli stipendi di luglio non vengano pagati è più che un’ipotesi, visto che l’azienda lo aveva annunciato ufficialmente già nelle scorse settimane a dipendenti e sindacati), per evitare l’amministrazione controllata ed il probabile fallimento, l’esecutivo ha iniziato a lavorare alacremente alla costituzione di una cordata che possa rilevare la maggioranza delle azioni dell’Ilva Spa (nella quale, come abbiamo scritto nei giorni scorsi dovrebbero trovare posto il gruppo Arvedi, Marcegaglia, gli indiani di Arcelor Mittal ed ancora una volta il gruppo Riva), in modo da poter effettuare quell’aumento di capitale, di almeno 1,8 miliardi di euro secondo le stime di Bondi (ce ne vorrebbero invece almeno 4 per effettuare i lavori di risanamento degli impianti dell’area a caldo), oramai indispensabile per mantenere in vita l’azienda. Ma un’operazione del genere abbisogna di tempi lunghi, non certo di giorni o di qualche settimana.
Lo stesso neo commissario ieri ha infatti dichiarato che “la cosa più importante da fare è trovare nuovi azionisti, perché in questo momento Ilva non ha un azionariato”. Ciò nonostante, Gnudi ha escluso la possibilità di una prossima chiusura dell’azienda: “non è un’ipotesi presa in considerazione”. Sarà. E’ però indubbio che il compito di Gnudi si presenti alquanto complesso. Probabilmente, la speranza del Governo è che un uomo amico dell’esecutivo e del mondo industriale e bancario italiano, possa riuscire nell’immediato lì dove Bondi ha fallito: convincere gli istituti di credito a concedere all’azienda un prestito ponte di 7-800 milioni di euro, per garantire l’ordinaria amministrazione nei prossimi due mesi.
E con l’uscita di Bondi, vacilla anche la posizione del sub commissario Edo Ronchi, il cui mandato scade il 15 giugno e la cui conferma spetta al ministro dell’Ambiente Galletti. Lo stesso Ronchi ieri ha messo le mani avanti rispetto al suo futuro: “Vedo remota, per ora, la possibilità di una mia permanenza all’Ilva. Prima devo verificare e accertare il contesto operativo, capire se ci sono i soldi e quanti per il piano ambientale”. Chi invece mastica amaro, sono i sindacati metalmeccanici, che premevano per una riconferma di Bondi. Non fosse altro perché nel piano industriale non vi era traccia di consistenti esuberi strutturali o dismissioni forzate di impianti e reparti. Eventualità che con una nuova cordata ed un nuovo piano industriale, nessuno può escludere. Anzi. Probabilmente hanno già capito che è proprio quello che accadrà. Come ripetiamo oramai da tempo.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 07.06.2014)
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