Il commissariamento dell’Ilva di Taranto, deciso lo scorso anno e concretizzatosi con la nomina di Bondi e del sub commissario Edo Ronchi – inevitabile conseguenza delle gravi e reiterate inadempienze dell’azienda nell’applicazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale – è stato ritenuto da Legambiente come l’unica, estrema possibilità di affrontare il risanamento degli impianti e del territorio tarantino senza chiudere la fabbrica.
Legambiente criticò la scelta di Bondi come commissario perché ritenuto troppo legato alla proprietà dei Riva, essendo stato l’ultimo amministratore delegato dell’Ilva prima del commissariamento, e quindi non adeguato a garantire quella totale inversione di rotta indispensabile per una gestione del siderurgico compatibile con la città e con la salute dei suoi cittadini. La nomina del sub commissario Ronchi è apparsa invece il più solido argine alle ragioni e alle spinte dell’azienda inquinatrice. Oggi Bondi, che almeno ha nel suo curriculum il salvataggio di un’azienda in condizioni disperate come Parmalat, viene sostituito con Piero Gnudi che, pur non avendo mai avuto incarichi nell’azienda dei Riva, sembra rappresentare una scelta dettata ancora di più da esigenze poste dalla proprietà piuttosto che dalla volontà politica di risanare finalmente gli impianti.
«Le voci di un abbandono da parte del sub commissario Ronchi – aggiunge Ciafani – che ha posto come condizione per il mantenimento del suo incarico la conferma senza modifiche del Piano Ambientale e il reperimento di tutte le risorse economiche necessarie, sono assolutamente preoccupanti rispetto alla messa in pratica del Piano stesso senza sconti per nessuno e senza scorciatoie tecnologiche. Legambiente ritiene infatti essenziale la riconversione a metano con il ferro preridotto di almeno una parte della produzione».
Tutto ciò avviene mentre continuano ad accumularsi insopportabili ritardi e il Piano Industriale non è ancora noto. Si succedono inoltre le voci di un possibile ingresso nella società di nuovi investitori tra i quali Arvedi, Marcegaglia e gli indiani di Acelor, nonché di una disponibilità dei Riva a partecipare all’aumento di capitale indispensabile per affrontare gli ingenti investimenti necessari per il risanamento degli impianti. Ma tutti i possibili protagonisti di questo aumento di capitale hanno manifestato un’incomprensibile indisponibilità al progetto di riconversione a metano.
«Ma quanto tempo ci vorrà perché il nuovo commissario ‘entri’ in una situazione così complessa? E il Piano industriale quando verrà reso noto? – chiedonoFrancesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia, e Lunetta Franco, presidente del circolo di Taranto – C’è forse la volontà di annacquare il Piano Ambientale che, pur con i limiti, soprattutto temporali che abbiamo più volte evidenziato, contiene misure importanti e forse risolutive per il risanamento degli impianti e per l’abbattimento del loro pesantissimo impatto ambientale e sanitario?». Il 2014 è già quasi trascorso per metà e il 31 dicembre 2015, scadenza ultima per gli interventi del Piano e dell’AIA, si avvicina inesorabilmente. «Nessuno pensi ad ulteriori proroghe degli interventi – concludono Tarantini e Franco –Continuiamo a ritenere che lo stabilimento siderurgico di Taranto possa essere risanato, ma senza la volontà politica del governo Renzi questo obiettivo non potrà mai essere raggiunto. L’esecutivo dimostri davvero di voler ‘cambiare verso’ anche a proposito della riconversione del manifatturiero italiano in direzione della green economy. In caso contrario l’industria italiana sarà destinata ad un inesorabile declino».
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