Era nell’aria da mesi e ora gli avvocati del gruppo Riva passano all’attacco. Con l’istanza che sara’ depositata oggi al Palazzo di Giustizia di Taranto, la difesa dell’Ilva punta a trasferire da Taranto a Potenza il processo che comincera’ con l’udienza preliminare il 19 giugno nel capoluogo pugliese con l’accusa di disastro ambientale. La difesa dell’Ilva e del gruppo Riva ritiene – e lo ha gia’ dichiarato da tempo – che a Taranto non esistano le condizioni per uno svolgimento sereno ed equilibrato del processo.
Troppo forte, secondo i legali, e’ il tema Ilva per Taranto, troppo forti le possibili pressioni psicologiche ed emotive su chi e’ chiamato a decidere in merito alla posizione degli imputati, troppo evidenti i condizionamenti ambientali. Il processo, “Ambiente Svenduto” dal nome dell’inchiesta, arriva a quasi due anni esatti dall’esplosione dell’inchiesta giudiziaria. Era infatti il 26 luglio del 2012 quando, su provvedimento del gip, Patrizia Todisco, scattarono otto arresti ai domiciliari nei confronti di dirigenti e proprietari dell’Ilva, e tra questi anche Emilio Riva e il figlio Nicola, che erano stati presidenti della societa’, e fu disposto anche il sequestro senza facolta’ d’uso, perche’ inquinanti e fonti di emissioni nocive, degli impianti dell’area a caldo: agglomerato, cokerie, altiforni, acciaierie, gestione rottami ferrosi, parco minerali.
L’inchiesta ha, poi, avuto altri sviluppi a novembre 2012, col mandato di arresto in carcere per Fabio Riva, vice presidente dell’omonimo gruppo industriale, questi e’ attualmente a Londra in attesa del giudizio di appello contro il verdetto favorevole all’estradizione pronunciato dalla magistratura inglese. A maggio 2013 ci fu l’arresto dell’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, del Pd, per una questione relativa elle discariche Ilva, e il sequestro preventivo per equivalente, disposto dal gip, di 8 miliardi sui beni e sui conti del gruppo Riva – sequestro poi annullato dalla Cassazione a dicembre – e a settembre scorso l’arresto dei cosiddetti “fiduciari” di Riva, che la proprieta’ aveva inserito nei posti di comando dello stabilimento, creando cosi’ quello che dalle indagini e’ risultato essere un vero e proprio governo “parallelo”, una direzione sovrapposta a quella prevista dall’organico aziendale. (Agi)
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