Del resto, la questione Ilva appare oramai finalmente chiara alla maggioranza delle persone. L’Ilva Spa è oramai in un vicolo cieco dal punto di vista finanziario. O entro questo mese la società “subisce” un serio aumento di capitale con l’immissione di ingenti risorse, oppure l’unica strada percorribile sarà quella del fallimento con tanto di libri contabili in tribunale. Questo è oramai il dato immediato con cui fare i conti. Il problema di sempre è che non si vede all’orizzonte nessuno interessato ad intervenire a sostegno della società. I Riva lo sono in parte, ammesso e non concesso che sia vero, le banche senza precise garanzie non tireranno fuori un euro, lo Stato per le leggi europee non può intervenire direttamente per salvare un’azienda privata, la Cassa Depositi e Presiti ha già fatto sapere per tempo di non essere interessata all’operazione. E se nessuno sino ad oggi si è ancora rivolto alla Procura di Milano per chiedere di entrare in possesso delle somme sin qui sequestrate al gruppo Riva (1,2 miliardi di euro, di cui soltanto 800 milioni effettivi e depositato presso il Fondo Giustizia), eventualità peraltro prevista dalla legge dello scorso 6 febbraio, è perché in molti hanno finalmente capito che quell’ipotesi non è percorribile giuridicamente e rischierebbe di trasformarsi in un clamoroso boomerang (cosa che su queste colonne abbiamo ripetuto decine di volte).
La sensazione è che per ora Bondi resterà al suo posto. Stessa cosa dicasi per Ronchi. Con il governo che proverà in ogni modo a convincere le banche (Unicredit, Intesa San Paolo e Banco Popolare sono già esposte per oltre 1 miliardo di euro di crediti pregressi, il che lascia pensare che si proverà a coinvolgere altri istituti di credito) ad effettuare un prestito ponte che possa garantire la sopravvivenza all’Ilva Spa almeno per il mese di giugno. Questo perché, entrando nel campo delle ipotesi (o della fantasia), un’eventuale nuova cordata (composta dai Riva, dai gruppi italiani Arvedi e Marcegaglia e dal colosso indiano Arcelor Mittal) vorrà riscrivere interamente il piano industriale realizzato dal commissario Bondi e giudicato dai Riva e da diversi esperti alquanto peregrino nella sua fattibilità. In tutto questo ginepraio, resta il nodo del piano ambientale: ovvero di tutti quegli interventi da realizzare nel risanamento degli impianti previsti dall’AIA, per i quali servono miliardi di euro. Ma che eventuali nuovi proprietari dell’Ilva Spa non avranno la minima intenzione di accollarsi, se non in minima parte. Ed ecco quindi prendere forma quella lenta dismissione di cui scriviamo oramai da anni su queste colonne, del tutto inascoltati.
Infine, consentiteci una piccola postilla. Con l’avvicinarsi dell’udienza preliminare (il prossimo 19 giugno) del processo all’Ilva per disastro ambientale, è iniziata da giorni una stucchevole e nauseante gara tra chi ha contribuito in maggior misura rispetto agli altri, all’avvio dell’inchiesta da parte della Procura nel lontano 2009 ed ai suoi risvolti sino alla richiesta di rinvio a giudizio dello scorso anno. Si sentono tutti improvvisamente giudici, avvocati e paladini della giustizia. Sono tutti pronti ad apparire il prossimo 19 giugno di fronte alle telecamere di mezzo mondo, fieri e convinti che il più grande processo ambientale italiano sia soprattutto merito loro. Attendono questo momento da almeno due anni. Tempo nel quale invece di pensare a costruire un’unità tra le varie anime della città, gli operai e il resto dei cittadini, hanno pensato bene di contribuire a creare ulteriori distanze, litigi, rancori e baruffe da quattro soldi. Ennesima dimostrazione del fatto che in tanti, troppi, in questi anni hanno tenuto molto più a cuore la loro immagine e il loro ego, piuttosto che il futuro della città e il vero senso delle loro battaglie e degli ideali in cui dicono di credere. Rincorrono tutti il loro piccolo, misero momento di gloria. Lasciatevelo dire: fate un po’ pena. “Lui non sa nulla e pensa di sapere tutto: tutto ciò fa pensare chiaramente ad una carriera politica” (George Bernard Shaw, Dublino, 26 luglio 1856 – Ayot St Lawrence, 2 novembre 1950).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 03.06.2014)
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