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Piano industriale Ilva e “cordata”, Prc: “Basta con i bluff!”

TARANTO – Riceviamo e pubblichiamo nota stampa di Rifondazione Comunista.

Il Piano industriale di Ilva e le recenti notizie relative a un’ipotesi di cordata per l’acquisizione della società non possono non destare la più viva attenzione. Abbiamo analizzato queste novità, ricavando profondi elementi di preoccupazione. In primo luogo, la cifra prospettata dal Piano industriale per la ricapitalizzazione di Ilva è insufficiente. Questa ammonta a 1,8 miliardi di Euro che, sommati a 1,5 miliardi di nuovi crediti a breve, dovrebbero consentire di coprire un fabbisogno finanziario pari a 3,5 miliardi nel periodo 2014-2016. Tale previsione si basa tuttavia su una stima eccessivamente ottimistica delle future performance operative del gruppo.

Infatti, a causa della dissennata strategia perseguita dai Riva – investimenti in innovazione ridotti al minimo, esternalità ambientali portate al massimo – Ilva nel corso degli ultimi anni ha perso significative quote di mercato e oggi si colloca nei segmenti più “poveri” e maggiormente esposti all’aspra concorrenza che caratterizza la siderurgia europea nella fase attuale. Data questa situazione riesce difficile immaginare che tale gap possa essere colmato nel giro di pochi anni. Sarebbe più onesto ammettere che per un periodo non breve la società si troverà ad affrontare una difficile fase di transizione caratterizzata da notevoli volumi di investimento e, d’altra parte, da una dinamica ancora relativamente contenuta dei ricavi. Non si può pensare di affrontare tale scenario senza un’adeguata dotazione di risorse fresche. Alla luce di ciò, la cifra di 1,8 miliardi sembra estrapolata in maniera forzosa – facendo riferimento al montante oggetto del sequestro da parte della magistratura milanese -, piuttosto che tarata sulle reali esigenze del gruppo.

 In secondo luogo, i recuperi di efficienza prospettati dal Piano sono irrealizzabili senza una ridefinizione complessiva dell’organizzazione del lavoro e  dell’intera struttura del management. In questi ultimi mesi nello stabilimento di Taranto si è assistito allo sgretolamento del vecchio sistema di potere plasmato dai Riva; al suo posto non è emerso un nuovo ordine, bensì una situazione caotica, in cui una parte dei quadri ha manifestato esplicitamente atteggiamenti di rifiuto nei confronti della gestione commissariale. In questa situazione di ingovernabilità di fatto del siderurgico, gli obiettivi di carattere operativo delineati dal Piano rischiano di rivelarsi aleatori.

In terzo luogo, la cosiddetta “cordata” Arcelor Mittal-Marcegaglia-Arvedi lascia trapelare non pochi elementi di contraddizione. Anzitutto, Arcelor Mittal è proprietaria dello stabilimento storicamente concorrente di Taranto sui mercati del Pianura padana e del bacino del Mediterraneo – quello di Fos sur Mer, Marsiglia. Data la situazione di aspra competizione che caratterizza il mercato siderurgico europeo, è quanto mai fondato il sospetto che il colosso franco-indiano voglia realizzare un'”acquisizione aggressiva” – cioè comprare Ilva per eliminare un concorrente, consolidando così il suo controllo sulle suddette aree di mercato. Inoltre, l’interesse di Marcegaglia ed Arvedi sembra rivolto più alla possibilità di rifornimento di semiprodotti in condizioni di favore che non al rilancio sul mercato dell’azienda. Il rischio che la “cordata” prospetta è dunque quello dell’ennesimo “spezzatino”, che gioverebbe ai gruppi acquirenti, ma distruggerebbe Ilva come realtà industriale autonoma.

Infine, il “caso Ilva” è emblematico dei pericoli che l’intero settore sta correndo nel nostro paese. Anche due altre grandi realtà, Piombino e Terni, sono sulla stessa china di Ilva: da una parte, oggetto degli appetiti dei siderurgici privati italiani; dall’altra, vittime designate delle strategie egemoniche dei grandi gruppi europei. Se l’Italia vuole conservare una presenza significativa in questo mercato tutte queste situazioni vanno affrontate e risolte in maniera organica. A fronte di queste criticità, quello che Rifondazione Comunista propone è chiaro.

1) Riparametrare in maniera realistica il fabbisogno finanziario di Ilva, prospettando una ricapitalizzazione che consenta alla società di affrontare con mezzi adeguati il complesso processo di risanamento ambientale e ristrutturazione industriale che il Piano delinea. Considerare la possibilità (completamente trascurata dal Piano) di un intervento creditizio da parte di agenzie pubbliche nazionali ed europee (Cassa Depositi e Prestiti e Bei).

2) Definire una nuova organizzazione del lavoro e una nuova cultura di impresa, basate sul coinvolgimento dei lavoratori, sulla valorizzazione della funzione di ricerca e sviluppo, sull’innovazione di processo e di prodotto.

3) Estromettere definitivamente i Riva dalla proprietà dell’azienda attraverso l’esproprio. Scongiurare l’ipotesi di “spezzatino” di Ilva, garantendo allo Stato una quota di controllo nella nuova compagine azionaria. Trattare da questa posizione di forza possibili alleanze nazionali e internazionali che preservino l’autonomia industriale del gruppo e ne rilancino su nuove basi l’iniziativa.

4) Elaborare un Piano nazionale per la siderurgia che riorganizzi in un nuovo polo multi-comparto a controllo pubblico Ilva, Acciaierie di Piombino e Acciai Speciali Terni – un Piano che contempli l’adozione di nuove tecnologie a basso impatto ambientale e ricerchi per ciascuna delle realtà in questione partnership in grado di valorizzare e rilanciare il rispettivo patrimonio di risorse umane e materiali.

Su queste basi riteniamo che nelle prossime settimane debba vedere la luce una grande mobilitazione che parta dalle città siderurgiche maggiormente minacciate dalla crisi e coinvolga le energie migliori del nostro paese. Non è in gioco infatti il solo futuro di qualche comunità o di un unico settore, bensì dell’intera Italia industriale. Un paese de-industrializzato è un paese in cui le condizioni di vita dei lavoratori tendono a peggiorare sensibilmente e in cui i disastri provocati da una gestione criminale della produzione restano insoluti per un tempo indefinito. Se si vuole scongiurare questo incubo e ridare una speranza al paese non si può più aspettare.

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