Azione stragiudiziale poi sfociata, viste le resistenze di Ilva spa a riconoscere il risarcimento in via bonaria, nel giudizio civile oggi deciso con la sentenza sopra richiamata. Il processo, una volta introdotto con atto di citazione nel 2008, basato anche sulle risultanze di una perizia di parte prodotta dal condominio, ha avuto un percorso tortuoso, che ne ha allungato notevolmente i tempi, e non si esclude che lo stesso possa proseguire anche in grado di appello.
Al fine di evidenziare la qualità quasi rivoluzionaria, per l’epoca, dell’azione in questione, per la quale la stampa coniò appunto il termine “i ribelli dei Tamburi”, bisogna ricordare che in quegli anni Ilva aveva una diversa forza “persuasiva” nei confronti di cittadini (specie di quelli residenti ai Tamburi, per molti dei quali era presente il timore dettato dal fatto che qualche familiare lavorasse o fosse in predicato di essere assunto in Ilva), stampa ed istituzioni, nonché poteva vantare precedenti giurisprudenziali quasi sempre favorevoli, che la inducevano e rigettare con sprezzo ogni tentativo di definizione “bonaria”, come è accaduto nella fattispecie.
Per avere un’idea delle difficoltà frapposte dalla società convenuta e dai propri difensori (tra i quali anche l’avv. Francesco Perli, in questi giorni protagonista delle polemiche sorte sui quotidiani locali per il contenuto di alcune difese depositate per conto di ILVA in un ricorso pendente dinanzi al TAR Lecce) basti pensare che in corso di giudizio si è proceduto a sostituire il primo consulente tecnico di ufficio, nominato dal Giudice Unico, poiché Ilva spa aveva eccepito che non fosse possibile nominare consulente di ufficio un professionista residente nella città di Taranto, in quanto a parere della stessa ci sarebbe stato un “conflitto di interessi”, dato l’interesse di “ogni” tarantino all’affermazione di un diritto risarcitorio per i proprietari di immobili in città.
L’eccezione di Ilva fu rigettata, ma prudenzialmente il Giudice per evitare strumentalizzazioni e motivi di impugnazione sostituì il professionista tarantino con un consulente residente fuori Taranto. Si diede quindi finalmente corso alla consulenza di ufficio, e si scoprì che questa, data la necessità di indagini chimiche che accertassero la qualità e quantità dell’inquinamento subito dal condominio, e la sua provenienza dallo stabilimento Ilva, aveva costi elevati e tempi lunghi.
La perizia, alle quale sono stati chiesti due complessi supplementi, ha infatti richiesto diversi accessi all’interno dello stabilimento. In corso di giudizio, inoltre, due degli attori sono deceduti, e anche tali tristi circostanze hanno comportato un allungamento dei tempi. Alla fine, però, i primi “ribelli” dei Tamburi, tra i quali anche gli eredi dei due deceduti, hanno vinto la propria battaglia, con l’affermazione del nesso di causalità tra inquinamento subito e produzione industriale Ilva ed il riconoscimento del diritto al risarcimento subito a causa dell’inquinamento.
Qualche giorno fa i condomini hanno quindi ricevuto dalle mani dei propri difensori gli assegni relativi ai risarcimenti riconosciuti in sentenza e liquidati da Ilva spa. Somme comprese tra gli undicimila e i quindicimila euro a famiglia e che vanno a risarcire una voce di danno che per la prima volta viene riconosciuta in sede giudiziale, cioè il danno conseguente alla ridotta possibilità di godimento dell’immobile di proprietà a causa dell’inquinamento industriale proveniente dallo stabilimento Ilva.
Una sentenza innovativa e che costituisce un precedente particolarmente importante in materia, anche perché il diritto risarcitorio riconosciuto, e mai reclamato da nessun altro, appare difficilmente revocabile in sede di impugnativa, non dipendendo da valutazioni tecniche o da dati che possono essere suscettibili di varia interpretazione. “Per oggi non possiamo che gioire del risultato raggiunto dai ribelli – commentano gli avvocati Curci e Moretti – e sperare che questi risarcimenti riescano, almeno parzialmente, a lenire la pena di quanti hanno dovuto sopportare l’ingiusta compressione dei propri diritti a causa dell’inquinamento industriale.
Nota stampa
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