MILANO – Riva Fire “non solo non esercito’ alcun controllo diretto a scongiurare la truffa ma partecipo’ attivamente al meccanismo fraudolento puntualmente descritto nel pregevole provvedimento” con cui il gip di Milano lo scorso gennaio ha disposto il sequestro per equivalente di beni per 100 milioni di euro alla holding della famiglia Riva che controlla l’Ilva di Taranto. Lo ha scritto la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza con cui e’ stato rigettato il ricorso presentato dai legali della Riva Fire contro il decreto di sequestro eseguito dalla Gdf nell’ambito del procedimento con al centro una presunta truffa ai danni dello Stato che sarebbe avvenuta tramite l’Ilva Sa, societa’ svizzera creata ad hoc per aggirare la normativa (la ‘legge Ossola’) sull’erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero. I giudici, nel loro provvedimento, hanno definito il meccanismo “abbastanza raffinato nei suoi vari passaggi e nelle sue articolazioni internazionali, ma inevitabilmente ‘esposto’ nello snodo fondamentale dell’intervento della Ilva Sa, troppo evidentemente identificabile come una costola svizzera della holding italiana, ma soprattutto come una societa’ sostanzialmente ‘simulata’, alla quale Riva Fire forniva pero’ risorse organizzative reali”. E non solo. Per la Suprema Corte “Ilva Sa era indiscutibilmente una società ‘fantasma’, un involucro societario costituito ad hoc per simulare un passaggio commerciale intermedio nella vendita dei prodotti Ilva spa all’acquirente finale estero, e per consentire in prima battuta alla Ilva spa, ma in definitiva al’intera holding guidata dalla Fire, di ottenere indebitamente le sovvenzioni pubbliche previste dalla Legge Ossola”. (Ansa)