Una battaglia lunga una vita – I familiari della signora Smaltini sfidano ancora l’Ilva
TARANTO – Continua la battaglia degli eredi della signor Giuseppina Smaltini. A darne notizia, tramite il comitato Legamjonici, la figlia Elisa De Lillo. La sig.ra Smaltini è stata “una donna che ha lottato a lungo contro la sua malattia e contro il colosso dell’acciaio dell’Ilva”. Ed i suoi familiari, il marito e i figli, hanno deciso di proseguire la battaglia nella sua memoria: per provare ad ottenere giustizia. Per questo hanno citato l’Ilva a comparire innanzi al Tribunale Civile di Taranto. “Il dr. Genoviva, giudice titolare della causa, nonché Presidente della Sezione Civile del predetto Tribunale – si legge nel comunicato inoltrato da Legamjonici – ha deciso di nominare un C.T.U., prof. Franco Silvestris, Primario del Reparto di Clinica Oncologica dell’Università di Bari, affinché verifichi se sussiste il nesso causale fra le immissioni nocive nell’aria di Taranto e il decesso della sig.ra Smaltini. Gli attori hanno nominato, quale proprio consulente di parte, il dr. Patrizio Mazza, Primario del Reparto Ematologico del San Giuseppe Moscati di Taranto; l’Ilva ha nominato il Prof. Leonardo Soleo, Ordinario di Medicina del Lavoro, anch’egli dell’Università di Bari.
Le operazioni peritali hanno avuto inizio il 2 maggio 2014, nonostante l’assenza già anticipata del prof. Mazza che avrebbe richiesto il rinvio della data. Il C.T.P. dell’Ilva ha invece avuto modo di interagire con il C.T.U. presentando le proprie conclusioni. Il prof. Mazza conosce bene la situazione sanitaria a Taranto ed ha potuto assistere a centinaia di morti a causa delle leucemie. Solo negli ultimi 3 anni vi sono stati oltre 500 decessi per malattie ematologiche. Un dato agghiacciante che non può escludere un nesso di causalità con le emissioni prodotte dall’Ilva. La famiglia della sig.ra Smaltini si augura che il prof. Silvestris possa fare luce su una vicenda che ormai dilania l’esistenza di migliaia di famiglie tarantine”.
La storia della sig.ra Smalitini la conosciamo bene. La riprendemmo lo scorso novembre, quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo reso noto di aver giudicato, in via preliminare, ricevibile il ricorso presentato dai familiari di Giuseppina Smaltini, deceduta il 21 dicembre 2012. Nel ricorso presentato nel lontano 2009, i familiari sostenevano che la malattia della donna fosse stata causata dalle emissioni prodotte dall’Ilva. Nel comunicare al governo italiano la ricezione del ricorso, la Corte di Strasburgo ha chiesto a Roma di dimostrare di “aver fatto quanto doveva e poteva per accertare che non ci fosse alcun nesso tra le emissioni della fabbrica siderurgica e la leucemia che ha ucciso Giuseppina Smaltini”.
La donna, ammalatasi nel 2006, presentò poco dopo una denuncia alla procura di Taranto contro il siderurgico le cui emissioni erano ritenute responsabili della malattia. Ma la Procura rigettò il ricorso ben due volte (la prima il 21 novembre del 2007, la seconda il 10 dicembre del 2008) ritenendo le prove di un nesso tra emissioni e malattia insufficienti. Secondo il marito e i due figli della Smaltini però, le indagini della Procura non furono condotte adeguatamente. Inoltre, nel ricorso venne sostenuto che essendoci un nesso tra le emissioni dell’Ilva e il tasso di malati di cancro a Taranto, lo Stato italiano violò il diritto alla vita di Giuseppina Smaltini. I giudici di Strasburgo vogliono quindi ora sapere “quali dati avesse a disposizione la magistratura di Taranto quando esaminò la denuncia e se le indagini sono state condotte con la dovuta attenzione”. Inoltre la Corte ha chiesto se lo Stato “abbia fatto tutto quanto in suo potere per proteggere la salute” e quindi la vita della donna.
Su queste colonne, nel lontano ottobre del 2010, pubblicammo un’inchiesta dal titolo “Le vite degli altri. Storie di ordinaria malattia”, sulla storia della sig.ra Smaltini. Ne scrivemmo precisamente il 25 e il 26 ottobre, con e grazie al fondamentale ausilio del comitato “Taranto libera” oggi “Legamjonici contro l’inquinamento”, dedicando alla storia ampio spazio. Una vicenda che riletta oggi lascia molto da pensare. Specie alla luce di quanto accaduto negli ultimi anni. Del resto parliamo del biennio 2009-2010, in cui l’inquinamento prodotto dall’Ilva e i suoi effetti sull’ambiente e sulla salute erano ancora agli arbori. Per completezza e correttezza d’informazioni, ricordiamo che entrambe le richieste di archiviazione furono firmate dal pm Graziano e dal procuratore capo della Repubblica di Taranto Franco Sebastio. Il gip che seguì il caso era Sentella, mentre l’archiviazione arrivò il 07/02/2009, “ritenendo di non ravvisare alcun reato a carico di Emilio Riva”.
Il ricorso alla Corte di Giustizia della Comunità Europea dei Diritti dell’Uomo, fu presentato avverso sia la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto che il Parlamento italiano. Per quanto riguardava la Procura, il primo punto del ricorso segnalava la violazione dell’art. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo, per violazione dell’art. 360 del codice di procedura penale italiano, sugli accertamenti tecnici non ripetibili. Il secondo ricorso riguardava invece l’art. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo, per violazione dell’art. 24 della Costituzione Italiana, in quanto si denunciava che “il pm incaricato del caso, non ha consentito alla sig.ra G.S. di estrarre copia della perizia del proprio consulente tecnico, il prof. Luigi Strada”. Il ricorso contro il Parlamento Italiano, fu presentato per la violazione dell’art. 2 capo 1 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo. Il D.Lgs. 152/2006 (il Testo Unico sull’Ambiente) infatti, elevò i limiti europei di immissione di diossine nell’aria di 60 volte (ora il limite è di 60000 ng/Kg) per i terreni residenziali e il verde pubblico.
C’è anche da dire che in quegli anni alla Procura di Taranto mancava la perizia epidemiologica consegnata dagli esperti nella primavera 2012, e richiesta dal gip Todisco nel giugno 2011, che ha accertato il nesso di causalità tra le emissioni fuggitive e non convogliate del siderurgico e i fenomeni di malattia e morte verificatisi nei lavoratori dell’Ilva e nei cittadini di Taranto. Mancava, inoltre, la perizia dei periti chimici (redatta nell’ambito della stessa inchiesta) che ha accertato il mancato rispetto da parte dell’Ilva di una serie di norme ambientali, nonché la diffusione incontrollata di centinaia di tonnellate annue di polveri che hanno contaminato per decenni i campi da pascolo e le migliaia di capi di bestiame abbattuti tra il 2008 ed il 2009.
Allo Stato italiano, invece, non mancava assolutamente nulla. Anzi. Il caso Taranto era ampiamente conosciuto in tutte le sue sfaccettature, ma confinato nel silenzio più assoluto grazie a compiacenze e connivenze ad ogni livello istituzionale (sia romano, che barese e tarantino) e non solo (che queste colonne e il sito inchiostroverde.it hanno denunciato per anni invano nel silenzio quasi generale). Peccato soltanto che la sig.ra Smaltini non abbia potuto proseguire con il marito e i figli questa battaglia. Certamente però, la stessa è stata precursore degli eventi che sono accaduti. E la stessa dovrà avere il giusto ruolo nella storia di chi ha tentato di ottenere giustizia in questa città, senza arrendersi mai. Fino all’ultimo respiro.
G. Leone (TarantoOggi, 20 maggio 2014)