Intanto, la realtà vera, come sempre è da tutt’altra parte. Esattamente in quell’ultima frase del piano industriale che Bondi ha illustrato ai sindacati giovedì sera a Roma: “Soltanto al verificarsi di queste previsioni vi sarà la tutela degli attuali assetti occupazionali”. Il che, tradotto in soldoni, vuol dire che già adesso un imprecisato numero di lavoratori dell’Ilva ha il destino segnato ed è senza lavoro. Così come un imprecisato quantitativo di terreno interno all’Ilva, insieme a svariati impianti, rischia di non vedere la bonifica da qui ai prossimi decenni. Un sistema al collasso, quello del siderurgico tarantino, che come scrivemmo su queste colonne nel gennaio 2013, “è un gigante d’acciaio con i piedi di argilla che rischia di implodere e accartocciarsi su se stesso”.
Del resto il piano industriale, la cui fase istruttoria è appena iniziata al MiSE (ci vorranno almeno altri 3-4 mesi per completare iter formale), al momento è tale soltanto sulla carta. Perché trovare 4,185 miliardi da qui al 2020 è semplicemente un’impresa impossibile. Rumor provenienti da Milano e da ambienti bancari, ieri hanno lasciato trapelare la notizia secondo cui la famiglia Riva sarebbe disposta a ricapitalizzare la società Ilva, ma soltanto a determinate condizioni (quali le possiamo soltanto lontanamente immaginare), e che sarebbe imminente una prossima convocazione del Cda in cui affrontare l’argomento.
Intanto l’istituto bancario Intesa Sanpaolo, sempre ieri ha precisato di non aver ricevuto alcun incarico nell’ambito del salvataggio dell’Ilva per “sondare la disponibilità della proprietà a partecipare al piano industriale al 2020 predisposto da Enrico Bondi”. E’ quanto ha dichiarato un portavoce della banca, a proposito delle notizie diffusesi negli ultimi giorni, riguardanti il gruppo dell’acciaio e la famiglia proprietaria Riva, sottolineando come questa ipotesi sia del tutto“destituita di fondamento”. Un quotidiano nazionale infatti, aveva riportato di un incarico conferito ad Intesa Sanpaolo nei giorni scorsi, durante l’incontro tra le banche creditrici dell’Ilva e il Governo svoltosi a Roma.
Del resto proprio Intesa San Paolo è l’istituto bancario più esposto nei confronti dell’Ilva Spa: dunque, l’emissario meno adatto da inviare a Varese nel feudo dei Riva. E’ bene infatti ricordare che secondo la Centrale rischi di Bankitalia, aggiornata ad ottobre scorso, Ilva beneficia dagli istituti di credito di un accordato di 1,855 miliardi, dei quali 1,520 utilizzati: di questi ultimi 534 milioni sono autoliquidanti (factoring), 769 milioni a scadenza, 7,3 milioni a revoca, 197 di garanzie commerciali e 14 di garanzie finanziarie (con uno sconfino di 2 milioni). Togliendo le garanzie, degli 1,3 miliardi residui, proprio Intesa dovrebbe essere esposta per 850 milioni, Banco Popolare per 240, Unicredit 200.
Intanto “radio fabbrica” segnala una situazione di crescente tensione tra i lavoratori. Che però, ancora una volta, tardano ad auto organizzarsi. In attesa di un segnale da parte dei sindacati metalmeccanici, che arriverà come sempre quando oramai sarà troppo tardi. Nel frattempo l’altra notte è morto un altro di loro. Un altro cittadino di Taranto. Che avrà un’altra moglie senza un marito e figli senza un padre. Per il resto della loro vita. Sarà anche retorica, ma questa è la realtà.
Anche perché, per “fortuna” di istituzioni, sindacati e commissari vari, i tarantini “impegnati” non ci pensano nemmeno ad unirsi ed a lottare tutti insieme per trascinarsi dietro i tanti che ancora vivono alla giornata. Meglio fare polemiche, conferenze stampa, comunicati, raccolte firme, denunce, azzuffarsi sui social network, e via cantando: contenti voi. Tanto, alla fine, vincono sempre gli altri. Auguri.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.05.2014)
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