TARANTO – Riceviamo e pubblichiamo nota stampa di Legambiente sul Piano ambientale dell’Ilva.
Il Piano, infatti, comporta un’ulteriore dilatazione nei tempi di realizzazione degli interventi previsti dall’A.I.A. Non solo; i tempi indicati nel piano non comprendono quelli necessari per il rilascio delle varie autorizzazioni: ne consegue che, incredibilmente, attraverso l’art. 3 venga affidato al Commissario il compito di precisarli con il Piano Industriale. In questo scenario la prevista scadenza di agosto 2016 per l’ultimazione degli interventiappare per Legambiente piuttosto aleatoria e clamorosamente smentita anche da alcune previsioni del piano stesso come l’installazione dei filtri a maniche in sostituzione degli elettrofiltri dell’agglomerato, prevista entro febbraio 2017. La tutela della salute di cittadini e lavoratori rimane affidata, di fatto, alla norma che subordina il riavvio di impianti non in esercizio o per i quali è prevista una fermata, alla valutazione dall’Autorità competente nell’ambito della verifica sull’adempimento delle prescrizioni.
Entrando nel merito delle misure previste, da un lato va segnalato positivamente che nel piano ambientale restano confermati interventi importanti come la copertura dei parchi primari e dei nastri trasportatori, l’adozione di limiti alle emissione molto più restrittivi rispetto alle norme di legge vigenti, il rispetto dei limiti tabellari dei reflui industriali prima del loro scarico nei canali.
Da rimarcare, inoltre, l’inserimento di prescrizioni riguardanti la cokeria osteggiate dall’azienda, come l’installazione di un sistema di captazione delle emissioni diffuse dopo lo sfornamento del coke e l’installazione dei filtri a maniche sui camini, fortemente “volute” da Legambiente e che il ministro Prestigiacomo e il TAR di Lecce avevano considerato “improponibili”. Accolta anche la proposta di Legambiente di redazione di uno studio circa l’impatto prodotto dalle idrovore dell’Ilva nel Mar Piccolo e l’eventualità di spostare il prelievo delle acque marine in Mar Grande.
Ma a fronte di questi elementi positivi risultano discutibili o del tutto negative invece altre scelte come, ad esempio, l’adozione di sistemi di umidificazione dei materiali stoccati al’interno degli edifici in luogo dei sistemi di depolverazione automatica, gli elettrofiltri previsti per i camini dell’agglomerato in luogo dei filtri a tessuto, lo spegnimento ad umido invece che a secco del coke o lo scarico del minerale dalle navi con benne ecologiche invece che con sistemi di aspirazione come chiedeva Legambiente. Né sono state accolte altre nostre Osservazioni inizialmente recepite dagli esperti come la copertura dei campi di colata degli altiforni, l’adozione dei sistemi di captazione delle emissioni diffuse in corrispondenza dei punti di caduta dei nastri trasportatori oppure di cabine chiuse per le operazioni sul piano di carica delle batterie.
La stessa valutazione del danno sanitario, con cui la Regione ha il potere di chiedere il riesame dell’AIA, rimane confermata ma resta da effettuare secondo le modalità previste dalla legge nazionale, da noi più volte contestate, invece che da quelle, molto più severe, indicate dalla legge regionale pugliese.
Per Legambiente la partita si gioca soprattutto con il piano industriale e le decisioni riguardanti l’innovazione tecnologica. Per rendere compatibile lo stabilimento con la città non basta intervenire sul risanamento degli impianti: occorre modificare il ciclo produttivo, eliminare o ridurre drasticamente l’apporto di cokeria ed agglomerato, sottoporre l’intera operazione a valutazione del danno sanitario ed ambientale. In mancanza continuiamo a ritenere indispensabile ridurre in modo consistente la produzione autorizzata di acciaio. Il vero limite del piano ambientale, per Legambiente, è prevedere il ricorso al ferro pre– ridotto o l’adozione dei sistemi Corex o Finex solo come raccomandazione e non come prescrizione.
Per Leo Corvace, del direttivo di Legambiente Taranto, infatti: “Occorre procedere da subito ed in maniera decisa verso l’innovazione tecnologica. In tal modo si eviterebbero spese di risanamento di impianti che potrebbero invece essere immediatamente chiusi. Le batterie 3-6 andrebbero dismesse definitivamente”.
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