Il vertice è stato presieduto dal sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, Umberto Del Basso De Caro, ed ha visto la partecipazione di rappresentanti dello Sviluppo economico, del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché di Total, Shell, Mitsui, Eni, Regione Puglia, presidente dell’Autorità portuale di Taranto e sindaco di Taranto. Del Basso De Caro ha annunciato che il ministero proverà a verificare quante possibilità ci sono per avviare una procedura centralizzata per sciogliere il nodo delle autorizzazioni (un po’ come avvenuto nel caso dell’Ilva), facendo leva sull’ok al progetto dato dal CIPE, con la delibera del 26 maggio 2012.
In realtà, in merito al blocco del piano regolatore portuale, c’è una sorta di gioco al rimpiattino tra il Comune e la Regione: il sindaco sostiene che a Palazzo di Città attendono le decisioni da Bari, a cui è stato chiesto di evitare per il prg del porto la VAS, la Valutazione ambientale strategica, avendola già fatta l’Autorità portuale. Ma è altrettanto vero che per ottenere l’ok al piano regolatore portuale da Bari, la Regione Puglia, competente sugli strumenti urbanistici, ha bisogno della variante al piano regolatore generale da parte del Comune. Quest’ultima, infatti, deve essere approvata dal Consiglio comunale e pubblicata per eventuali osservazioni. Del resto, quando nel luglio dello scorso anno chiedemmo lumi ad alcuni componenti della Commissione Ambiente sulla vicenda, al termine di un’audizione a Palazzo Latagliata con il direttore della raffineria di Taranto, ci venne risposto che tutto era fermo proprio perché il Comune non aveva ottemperato a quanto di sua competenza in materia di piano regolatore portuale. Un lassismo che trova la sua ragion d’essere in una palesemente finta presa di coscienza “ambientalista” da parte dell’amministrazione comunale. Che nell’autunno del 2012, durante un Consiglio comunale, attraverso un ordine del giorno, dichiarò il suo no all’avanzamento del progetto “Tempa Rossa”, dopo però aver dato l’ok nel 2011. Un’operazione dal forte sapore opportunistico, visto che si era in piena bufera Ilva e si voleva mandare alla cittadinanza un segnale di “cambiamento”.
Intanto, lo scorso 31 marzo, l’Eni ha presentato al Ministero dell’Ambiente l’istanza per l’avvio della procedura di Verifica di Assoggettabilità a VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) del progetto “Piano di Utilizzo terre e rocce da scavo”. Il 18 maggio scade il termine per la presentazione delle osservazioni del pubblico. A seguito delle attività di caratterizzazione effettuate nel 2011, è stata infatti rilevata una variazione dei quantitativi di terreno contaminato da 650 m3 a 30.000 m3, pertanto devono essere modificate le modalità operative di gestione delle terre e rocce da scavo precedentemente definite nell’ambito della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale.
Tornando ai principali lavori del progetto, è previsto il prolungamento del pontile esistente in dotazione all’ENI (sviluppo in mare per 515 metri con due piattaforme principali di attracco e collegato a terra mediante una diga a scogliera lunga circa 350 m) e la realizzazione di una terza piattaforma d’attracco per la spedizione di prodotti petroliferi, e delle relative strutture di ormeggio. La lunghezza del prolungamento sarà di 355 metri; inoltre, è prevista la realizzazione di passerelle di collegamento tra la struttura principale e le briccole di ormeggio esterne, per un’ulteriore lunghezza di 160 m. Come riportammo su queste colonne il 6 febbraio 2013, la società svizzera ABB, gruppo leader nelle tecnologie per l’energia e l’automazione, si è aggiudicata un ordine del valore di 40 milioni di dollari per effettuare i lavori, dopo aver vinto il bando di gara “Progetto Tempa Rossa Impianti Off-Shore” (pubblicato sul supplemento della Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 04.02.2011). Il progetto, “Progettazione e realizzazione delle opere marine previste per l’ampliamento del terminale petrolifero sito nel Mar Grande di Taranto”, riguarda tutti i lavori necessari per adeguare la raffineria di Taranto (in particolar modo i pontili per “accogliere” dalle 45 alle 140 petroliere l’anno in più per cui l’Eni nello Studio d’Impatto Ambientale si è ben guardata dall’inserire l’analisi di rischio di incidente rilevante e due enormi serbatoi per stoccare i 180mila metri cubi di greggio che arriveranno dalla Basilicata attraverso l’oleodotto Viggiano-Taranto che produrranno il 12% in più di emissioni diffuse) per essere funzionale con il per cui l’Eni ha investito 300 milioni di euro.
Nel silenzio generale (in particolar modo del movimento ambientalista locale), soltanto il comitato Legamjonici ha seguito sin dagli arbori la vicenda Tempa Rossa. Nel marzo del 2012, il Parlamento europeo ha infatti avviato un’inchiesta, chiedendo alla Commissione Europea di svolgere un’indagine preliminare sui vari aspetti del problema, proprio grazie alla denuncia presentata da Legamjonici. Il comitato ha infatti evidenziato “la violazione della direttiva Seveso, una valutazione di impatto ambientale approssimativa, l’assenza di uno studio sull’effetto domino per la costruzione di due nuovi serbatoi della capacità di 180.000 m3 accanto agli impianti già esistenti, aumento delle emissioni diffuse e fuggitive, nuovo rischio di sversamento di greggio in Mar Grande per la manipolazione e trasporto di greggio”.
Ma a nostro modo di vedere, difficilmente un progetto giudicato tra i 128 più influenti nel mondo nel settore petrolifero, sarà fermato dai giochetti di quartiere del Comune di Taranto.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 08.05.2014)
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