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Ilva: Bondi, perché non ti dimetti?

TARANTO – La domanda del titolo potrebbe essere interpretata, a torto, come una provocazione o una battuta ironica. In realtà, il nostro è più un consiglio per provare a fare in modo che la vicenda Ilva esca definitivamente dal limbo in cui è precipitata da mesi. Del resto, il commissario straordinario è tutt’altro che un uomo solo al comando. E, soprattutto, ha una autonomia decisionale alquanto limitata rispetto ai casi gestiti nel passato (vedi Lucchini e Parmalat). Perché se è vero che Bondi ha il “potere” di redigere il famoso piano industriale 2014-2020 (che ha visto lievitare i costi da 1,8 a 4,5 miliardi in meno di un anno, oltre che la sua fase temporale di applicazione inizialmente prevista per il 2016), è altrettanto vero che per legge (la n. 89 del 4 agosto scorso) i proprietari dell’Ilva sono ancora i Riva (che detengono ancora la maggioranza delle azioni, il 62,61%); e sempre per legge (la n. 6 del 6 febbraio scorso) il gruppo Riva ha il diritto di conoscere i dettagli del piano industriale, valutarne la consistenza e la sua efficacia, ed eventualmente decidere se e come contribuire alla sua realizzazione.

Questo perché, sempre per la legge sul commissariamento, i Riva torneranno ad essere i legittimi proprietari dell’Ilva entro l’estate del 2016. Il che si ricollega direttamente al famoso aumento di capitale che Bondi è autorizzato ad effettuare per legge, per sostenere i costi del risanamento previsto dal piano ambientale: ma quale imprenditore o cordata di essi, o socio minore sarebbe mai interessato a partecipare ad un aumento di capitale del più grande siderurgico d’Europa (acquistando azioni che per legge saranno cedute solo a fronte di risorse liquide), con la certezza che tra un paio d’anni i Riva tornerebbero al timone, eventualmente usufruendo di lavori effettuati con le risorse di altri imprenditori? Stesso discorso va fatto per le tre banche chiamate dallo stesso Bondi a finanziare il piano industriale: con quali garanzie Unicredit, Banca Intesa e Banco Popolare, peraltro già esposte nei confronti dell’Ilva Spa per oltre 1,5 miliardi (con l’azienda che ogni giorno continua ad accumulare debiti), dovrebbero aiutare un’azienda senza sapere quali saranno i futuri proprietari e soprattutto senza avere certezza alcuna di vedersi restituire le cifre investite? Del resto all’orizzonte non si vede alcuna soluzione per il reperimento delle risorse necessarie agli investimenti non più rinviabili (tra cui il miliardo per la sola manutenzione degli impianti).

Che la questione stia assumendo una dimensione irreversibile, lo dimostra anche il vertice svoltosi ieri a Palazzo Chigi tra Bondi, il sub commissario Ronchi, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi e le rappresentanze del Ministero dell’Ambiente, conclusosi con un nulla di fatto e aggiornato alla prossima settimana. L’unica vera novità annunciata ieri, è inerente al piano ambientale: entro venerdì 2 maggio la Corte dei Conti si pronuncerà formalmente. Poi, una volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entro 30 giorni Bondi è chiamato a presentare il piano industriale: anche se per la stessa legge, quella del 6 febbraio scorso, il commissario ha tempo sino a tutto il 2014 per reperire le risorse necessarie per la sua attuazione. Dunque, l’eventuale presentazione del piano industriale rischia di essere l’ennesimo atto inutile.

Ecco perché le eventuali dimissioni di Bondi potrebbero dare la scossa definitiva per affrontare con serietà, il problema di un’azienda che giorno dopo giorno diventa sempre più ingestibile. Il primo trimestre del 2014 ha registrato dati disastrosi; si produce sempre meno e sempre peggio; le commesse sono quasi inesistenti. Ed infatti soprattutto di questo parleranno oggi azienda e sindacati. E vista la situazione, Bondi ha già lasciato intendere che l’applicazione dei contratti di solidarietà sarà estesa a tutti quei lavoratori e a quei reparti sostanzialmente fermi e improduttivi. Dalle attuali poche centinaia di lavoratori interessati infatti, si rischia di toccare la cifra rinnovata lo scorso marzo, che sfiora le 3.500 unità. Eventualità appoggiata anche dai sindacati metalmeccanici. Del resto, il tubificio 1 lavora con appena 5 turni settimanali; il 2 si fermerà nuovamente in questi giorni; il Treno Nastri 1 si fermerà per altre due settimane; e le acciaierie 1 e 2 lavorano poco e male, vista anche le diverse fermate che hanno subito i tre altiforni in attività dopo i guasti alla centrale termoelettrica, il che comporta una qualità della ghisa tutt’altro che “eccellente”. Infine, la questione stipendi: gli stessi sono in forse ogni mese, non certo da oggi. Per il semplice motivo che l’Ilva, stante così le cose, è un’azienda destinata a fermarsi. Quando, non è dato sapere. Ma è certo che, come ripetiamo oramai da anni, è soltanto una questione di tempo. La grande fabbrica si va spegnendo giorno dopo giorno. Lo abbiamo sempre scritto (ben prima dell’estate 2012): è un fatto ineluttabile, incontrovertibile. E, ancora una volta, nonostante tutto, quel giorno arriveremo impreparati.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 30.04.2014)

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