Ilva, le banche approfondiscono temi piano industriale e risorse

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ILVA NUOVATARANTO –  Ilva e banche approfondiscono il piano industriale dell’azienda, quello che sarà presentato non appena il piano ambientale, approvato con Dpcm dal Consiglio dei ministri una decina di giorni fa, verrà pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”. In questa settimana ci sono già stati due incontri con i rappresentanti degli istituti di credito – Unicredit, Intesa San Paolo e Popolare di Milano – che stanno negoziando con l’Ilva. All’ultimo hanno partecipato sia il commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, che il sub commissario Edo Ronchi, che poi, in altra sede, hanno incontrato anche il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti.

Quello con le banche è stato un colloquio molto approfondito che ha riguardato sia gli investimenti industriali che ambientali dell’Ilva. La novità è che le banche hanno dato mandato alla società specializzata Roland Berger di verificare fattibilità e soprattutto costi dei piani Ilva. Stando a quanto si è appreso, rimane in piedi la possibilità che le banche eroghino all’Ilva un prestito ponte di circa 500 milioni di euro, misura, questa, sollecitata dal commissario Enrico Bondi per far fronte alla mole di lavori necessari nel siderurgico di Taranto. Le banche, però, chiedono chiarezza anche su chi e come sottoscriverà l’aumento di capitale. In sostanza, in base all’ultima legge sull’Ilva, la numero 6 dello scorso 6 febbraio, si prevede l’aumento di capitale finalizzato al risanamento ambientale dell’azienda, e le banche vogliono sapere chi, dopo un’eventuale concessione del prestito ponte, si farà carico dell’impegno più rilevante, ovvero l’aumento di capitale. Se sarà ancora l’attuale proprietà dei Riva, soluzione indicata in prima battuta dalla legge, oppure altri investitori considerate le manifestazioni di interesse avanzate nei confronti dell’azienda.

Per le banche non è affatto secondario sapere quale assetto proprietario ci sarà nel futuro dell’Ilva considerato che nelle ultime settimane i costi del piano industriale sono passati da una previsione di 3 miliardi ad una di 4,3 miliardi e che l’orizzonte temporale del piano non si ferma più al 2016 – anno in cui in base alla legge dovrà essere ultimata l’attuazione delle prescrizioni ambientali – ma arriva sino al 2020. In quella che può considerarsi una sorta di seconda fase, i commissari dell’Ilva collocano infatti – ma per ora solo come scenario perseguibile – la possibilità di intensificare l’utilizzo del preridotto negli altiforni e nelle acciaierie di Taranto passando dall’acquisto dall’estero, cosa che sta avvenendo da alcuni mesi, alla produzione nello stesso stabilimento. Questo, ovviamente, richiede un investimento ad hoc. Ma richiede pure che la produzione di acciaio fatta col preridotto – un sistema già usato da altre aziende e che tra l’altro permette di ridurre ulteriormente le emissioni inquinanti – sia progressivamente aumentata e ci sia anche l’uso del gas al posto del carbon coke negli altiforni. In tal senso l’Ilva prevederebbe che la produzione di acciaio col preridotto debba attestarsi in una fascia compresa tra i 4 e 5 milioni di tonnellate annue, comprimendo la produzione fatta con l’agglomerato di minerali e il carbon coke, e che il gas destinato agli altiforni abbia un costo non superiore ai 23 centesimi per metro cubo. Questi due requisiti, nello scenario tracciato dall’Ilva, vengono giudicati fondamentali se, nella riconversione ecologica dell’azienda, si vuole passare dalla sperimentazione del preridotto di ferro – che si è data un obiettivo di 2,5 milioni di tonnellate annue – ad un’utilizzazione strutturale con relativa produzione della materia a Taranto.

Sia le banche che Roland Berger sanno bene che il mandato di Bondi e Ronchi è a tempo determinato. Bondi, infatti, è stato nominato a giugno dell’anno scorso dal Governo e il suo incarico, stando alla legge 89 del 2013, quella che ha disposto il commissariamento dell’Ilva, non può durare più di 36 mesi salvo proroghe. La gestione commissariale, quindi, dovrebbe terminare a metà 2016, in parallelo col completamento dell’Aia. Che poi è la “missione” che era stata affidata dal Governo ai commissari mentre ora si delineano discorsi che vanno ben al di là della sola Aia. Ma questo perchè, come più volte ha dichiarato il sub commissario Edo Ronchi, strada facendo ci si è ” accorti che l’Ilva non ha solo bisogno di attuare le prescrizioni ambientali, ma deve anche intervenire nella manutenzione degli impianti – il cui stato ha posto diversi problemi in questi mesi – nell’innovazione e nella sicurezza sul lavoro”. “Solo così – ha precisato -potremo farne una realtà industriale veramente competitiva oltre che sostenibile”. D’altra parte, nell’aumento dei costi sino a poco più di 4 miliardi, pesa anche la voce sicurezza sul lavoro, dove una società incaricata dall’Ilva di “mappare” la situazione dello stabilimento, ha presentato un quadro di interventi da 6-700 milioni. Ed è proprio l’aumento dei costi che ora rende prudenti le banche nel confronto con l’Ilva e a porre con più evidenza il problema di quale sarà il futuro assetto proprietario dell’azienda. (Agi)

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