Ilva, la lunga marcia per la salute
TARANTO – Sono arrivati da tutta Italia per dire il proprio no ad un ambiente inquinato. Tante bandiere, striscioni, magliette con i nomi delle associazioni rappresentate per segnalare la provenienza, amalgamarsi con i cittadini di Taranto e Statte e, magari, sentirsi meno isolati. Tutti insieme hanno marciato per cinque chilometri, dal centro di Statte all’ingresso della discarica Italcave attraversando l’agro che separa il capolugo ionico dalla cittadina poco lontana.
Un territorio distrutto da un polo industriale altamente inquinante costruito a pochi passi dai centri abitati. Oggi ci sono malattie e morte per le persone, così come per gli animali, e terreni inutilizzabili contaminati dalla diossina e da altre sostanze dannose presenti nell’aria, sul suolo e nell’acqua.
Un lungo serpentone di persone ha sfidato il maltempo e si è messo in cammino per arrivare sotto il palco allestito sulla strada provinciale 48, nei pressi dell’ingresso dell’Italcave, a pochi passi dai camini dell’Ilva. Con gli interventi dal palco della conduttrice e giornalista Rai Alda D’Eusanio, con la testimonianza di una bambina che ha letto una lettera sulla realtà ionica vista con i suoi occhi e con le testimonianze di esponenti di associazioni ambientaliste di tutta Italia si è conclusa la due giorni dedicata all’ambiente dal titolo “Se puoi sognarlo puoi farlo” organizzata dalla testata giornalistica online “Cosmopolis”.
Molti partecipanti al corteo pacifico, tra cui Annamaria Cristofaro, hanno detto che l’inquinamento ambientale “è un problema che tocca tutti da vicino” e c’è chi ha attribuito le colpe di tale situazione alla politica. Altri, tra cui Umberto, hanno evidenziato come il mondo ambientalista non riesce a compattarsi su un tema così importante come l’ecosistema.
Manifestare per i più piccoli, le nuove generazioni che vivranno la città ed il territorio ionico: è anche per questo motivo che Aurelio Rebuzzi, papà di Alessandro morto per una malattia polmonare all’età di 16 anni, è sceso in strada questa mattina. «Lui ha pagato con la vita questo inquinamento – ha detto il padre – che continua ancora a fare vittime. L’altro ieri è scomparso un altro suo amichetto. Loro sono considerati guerrieri buoni perchè hanno lottato per l’ambiente. Io sono qui per lui e per tanti bambini, sono un papà orfano. Questo deve essere un segnale per dire che la vita è preziosa».
Luigi Romandini, ex dirigente del settore Ecologia della Provincia noto per non aver firmato autorizzazioni in favore dell’Ilva nonostante le pressioni, ha sottolineato che “questa manifestazione, con il convegno di ieri, è un segno del risveglio di Taranto che deve ritornare ad essere la terra baciata da Dio. La città ha delle ricchezze contenute in scrigni pieni di bellezze paesaggistiche, culturali, archeologiche e bontà gastronomiche. Queste, insieme a nuovi tipi di attività sofisticate possono far rifiorire Taranto e quindi far dimenticare una pagina in cui il lavoro non è stato al servizio dell’uomo ma si è servito di lui».
Produzione ed inquinamento, un binomio da scindere. «E’ una marcia – ha sostenuto il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti – che si snoda sulle strade della diossina, stiamo calpestando l’asfalto su cui è caduta per decenni una quantità impressionante di inquinanti. Attorno a noi abbiamo i pascoli che sono interdetti da un’ordinanza regionale. Una marcia come quella di oggi serve a tenere alta l’attenzione e a chiedere la bonifica di questo grande territorio su cui stiamo camminando che deve essere restituito alla normalità. Siamo in marcia perchè tutto questo non può continuare. Qui ci sono bambini, mamme, persone che vogliono riaffermare la centralità della salute».
Dello stesso parere Angelo Bonelli, consigliere comunale e coportavoce nazionale dei Verdi. «Questa è una Taranto che resiste ed è l’espressione della migliore Italia. Il problema di Taranto non è dei tarantini ma di tutta Italia. In questa città sono state sversate tante quantità di diossina per produrre l’acciaio per tutto il Paese. Ora bisogna dire basta, bisogna cambiare e avviare un progetto di conversione come accaduto in altre città. Per me questi sono gli ecopartigiani, l’Italia che resiste».
Luca Caretta