“A che punto è la nostra salute?” – Ilva, “Liberi e pensanti” denunciano il silenzio di Rls e Spesal

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cokeriaTARANTO – La richiesta è semplice, ma di fondamentale importanza. In un’altra realtà, probabilmente non ci sarebbe neppure la necessità di avanzarla. Eppure, così non è. Perché al di là delle tante parole spese in quasi due anni da quel lontano luglio 2012, la situazione dei lavoratori dell’Ilva di Taranto, prima di tutto sanitaria oltre che lavorativa, è tutt’altro che chiara.

Basti pensare che sono passati oltre due mesi, da quanto il comitato “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti” ha presentato ufficiale richiesta alle RLS (i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) di Fiom, Fim, Uilm ed USB ed allo S.P.E.S.A.L., affinché si mettano a disposizione dei lavoratori “con sollecitudine le informazioni sugli esiti delle riunioni periodiche di sicurezza” e “i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente e sulle indicazioni dallo stesso sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori” (secondo quanto previsto dagli articoli 18, 25 e 35 del decreto legislativo 81/08, “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”).

Due mesi di silenzio. Che si possono spiegare in mille modi diversi. E’ inutile girare troppo intorno alle parole: i lavoratori del comitato, all’interno dell’Ilva hanno vita tutt’altro che facile. Certo, le cose sono leggermente cambiate rispetto all’estate 2012. Ma ancora oggi per loro è alquanto complicato ottenere informazioni precise e repentine. Spesso le notizie viaggiano di bocca in bocca, in una specie di gioco del telefono operaio, affinché arrivino a chi da due anni a questa parte ha deciso di venire definitivamente allo scoperto. E sta provando, sia pur pagando un prezzo altissimo a livello umano, a cambiare le cose. O, forse, sarebbe meglio dire a cambiare la testa delle persone, all’interno della grande fabbrica. Un mondo, quello dell’Ilva, in cui tante cose continuano a funzionare come nel ventennio di gestione Riva.

Ciò che maggiormente preoccupa però, è che la stragrande maggioranza degli operai continua a “rigare” dritto. Nonostante da quasi due anni il clima consentirebbe di diventare assoluti protagonisti della vita della fabbrica oltre che della propria. Certo, parlare da fuori può apparire sin troppo facile. E moralista. Ma la realtà e i numeri, sino a prova contraria, sono ancora tutti dalla parte dei lavoratori. E’ soltanto da loro, infatti, che dipende la “vita produttiva” del più grande siderurgico d’Europa. Sono in primis loro a poter pretendere il rispetto di ogni protocollo sulla sicurezza. Sono in primis loro a poter pretendere di ricevere notizie sul loro stato di salute. Perché in Ilva, gli esami continuano a farli. E quei dati da qualche parte devono pur esistere.

Ma qualcosa oggi possiamo comunque ricordarla. Tornando ad esempio alla perizia epidemiologica di 282 pagine messa a punto dagli esperti Forastiere, Biggeri e Triassi per il tribunale di Taranto nell’ambito dell’incidente probatorio dell’inchiesta sull’Ilva, nella quale si leggeva quanto segue: “Estremamente interessante appare anche l’analisi del follow-up dei lavoratori che hanno prestato servizio presso l’impianto siderurgico negli anni 70-90 con la qualifica di operaio che ha mostrato un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71%), della prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%)”.

“Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai della industria siderurgica – si leggeva ancora nella perizia – è confermato dall’analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie. L’esame dei dati di incidenza tumorale ha mostrato un aumento, anche se basato su pochi casi, dei tumori del tessuto connettivo sia negli operai (3 casi) che negli impiegati (3 casi) del settore siderurgico ed un coerente incremento di casi di mesotelioma”.

Oltre ai dati che non lasciano adito a particolari interpretazioni, in quella perizia si leggeva anche altro. Esattamente ciò che oggi denuncia il comitato dei “Liberi e Pensanti”. Per avere maggiore chiarezza circa i dati di denuncia ed indennizzo delle malattie professionali infatti, i tre esperti inoltrarono una richiesta all’ufficio legale dell’Ilva. Che rispose con una nota datata 22 novembre 2011, dalla quale si evinceva come l’azienda non fosse in grado di “predisporre statistiche riguardanti le malattie professionali riconosciute ed imputate alla propria posizione assicurativa”.

In seguito a tale risposta, nella perizia gli esperti scrivevano a ragione: “Ci si chiede quali informazioni il datore di lavoro sottopone nella riunione periodica ai partecipanti ai sensi dell’art. 35 comma 2 lettera b del Decreto Legislativo n.81/2008, e quali informazioni il medico competente utilizza nella compilazione dell’allegato 3b di cui all’articolo n.40 del D.Lgs. 81/2008”. I periti riscontrarono poi anche un aspetto di cui scrivemmo oltre due anni fa. “I dati presenti nei documenti forniti dall’Ilva tra loro presentano alcune difformità e soprattutto non corrispondono ai dati forniti dall’INAIL relativi al periodo 1998-2010”. Da tale confronto si notava “una differenza sostanziale tra le due fonti e numeri sensibilmente più alti di denuncia nei dati forniti dall’Ilva: ad esempio nell’anno 1998 vi è una differenza di più di 4 volte (377 secondo il DS impianti marittimi dell’Ilva e 85 secondo la banca dati dell’INAIL Taranto)”.

Inoltre, nell’analisi delle malattie professionali denunciate da parte dei lavoratori viene affermato che “il fenomeno delle richieste di riconoscimento di malattie professionali ha un andamento in sostanziale diminuzione”, mentre “la linea di tendenza dei dati INAIL mostra un incremento. I dati relativi alle denunce di malattia professionale non permettono però di avanzare alcun giudizio definitivo sugli elementi di causalità ed ha un valore di tendenza e di rischio percepito dai lavoratori, ma non può assumere un valore assoluto”. Tra l’altro per legge “la denuncia delle malattie professionali deve essere trasmessa dal datore di lavoro all’istituto assicuratore, corredata da certificato medico entro i 5 giorni successivi a quello nel quale il prestatore d’opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione di malattia”.

A fronte di questa disposizione normativa, i periti scrivevano come “appare ben strano che all’INAIL siano pervenute un numero di denunce significativamente più basso (847 denunce in meno dal 1998 al 2010) di quelle che risultano all’Ilva”. Se ci fosse stata una perdita di denunce nel passaggio dall’Ilva all’INAIL, “considerato che l’analisi delle malattie professionali viene effettuata soprattutto sulle malattie riconosciute, saremmo di fronte ad un’importante e decisiva perdita di informazioni tale da pregiudicare ogni commento”. E la difformità dei dati, fu riscontrata anche per quanto riguarda le malattie da asbesto. Secondo quelli dell’Ilva “le patologie professionali legate ad esposizione lavorativa ad asbesto sono sostanzialmente stabili, mentre dai dati INAIL il fenomeno analizzato appare in aumento, in linea con quanto viene descritto dai dati nazionali” scrivevano ancora i periti.

Oltre alla richiesta di conoscenza in merito ai dati sulla salute, rimane tutt’ora inevasa anche quella in merito al futuro lavorativo. Visto e considerato che il piano industriale è ancora lungi dall’essere pronto (ancora ieri il Sole24Ore parlava di un incontro tra Bondi e il governo avvenuto venerdì al Mise a Roma, dove il commissario ha presentato soltanto una bozza dello stesso). E che il piano ambientale deve essere ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (il testo pare sia fermo alla Corte dei Conti, visto e considerato che si tratta di un atto del Consiglio dei Ministri). Ciò detto, anche i lavoratori sanno che l’Ilva è una fabbrica destinata a chiudere. Il problema vero però, è che ciò avverrà per gradi e che le operazioni saranno tutt’altro che indolori. E soprattutto che rischiano di arrivare senza preavviso, dall’oggi al domani.

Inoltre, cosa tutt’altro che secondaria, gli operai sono costretti a convivere ogni giorno con impianti sempre più fatiscenti, visto e considerato che anche la manutenzione degli stessi è al momento soltanto utopia (basti vedere quanto accaduto al porto giovedì mattina). E come ulteriore esempio della situazione precaria vissuta dagli operai, il comitato dei “Liberi e Pensanti” denuncia quanto accaduto presso il laboratorio sperimentale presente all’interno del siderurgico. Chiuso nei giorni scorsi perché un macchinario, giunto da Genova nel 2008, è stato trovato pieno di amianto friabile: il più pericoloso in assoluto.

A fronte di tutto questo, il vero grande obiettivo, che oggi può apparire ai più un sogno irrealizzabile, è quello di riuscire ad unire tutti gli operai in una grande azione di risarcimento e di tutela sanitaria e lavorativa per quando il mostro d’acciaio chiuderà i battenti. Perché se è vero che molti di loro oggi si sentono “dei morti viventi”, è altrettanto vero che per uno strano scherzo del destino della storia, i lavoratori dell’Ilva di Taranto saranno ricordati come gli ultimi “eroi-martiri” della rivoluzione industriale del “grande” Occidente. Uomini, nostri concittadini. Alcuni dei quali hanno scelto di difendere la loro dignità, prima ancora che la salute e il lavoro. Uomini da cui questa città, oramai sempre più piena di tuttologi e sapientoni di ogni risma, avrebbe moltissimo da imparare, se solo si fermasse ad ascoltare. Se solo fosse davvero intenzionata a cambiare le cose in meglio per tutti, nessun escluso. “Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia” (Enrico Berlinguer, Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984). Ad maiora.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 31.03.2014)

 

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