Comincerà a luglio il processo per il Tartarugaio con imputati dipendenti e dirigenti del Comune di Taranto e il progettista della prima e seconda variante.
Legambiente aveva espresso la sua assoluta contrarietà alla realizzazione dell’opera e denunciato pubblicamente come “sciagurato” l’intervento, definito fin dall’inizio come “un indesiderato e velenoso fungo”. Di tutto la Città Vecchia di Taranto aveva bisogno tranne che di questa colata di cemento, di questo spreco di denaro pubblico che modifica il“volto” dell’Isola e che non rientra nello spirito del Piano Blandino.
L’abbiamo detto e lo ripetiamo: è come se accanto al Colosseo fosse data l’autorizzazione ad edificare una casupola, in un ipotetico stile “romano” e si pretendesse di far digerire ai cittadini tale intervento come un utile ed importante orpello per valorizzare l’antico. Assurdo. Per questo avevamo chiesto all’Amministrazione Comunale di ripensare l’intervento, consultando i cittadini, gli ordini professionali, tutti i portatori di interesse e scritto al Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Lecce, Brindisi e Taranto chiedendo spiegazioni per stringatissimi pareri favorevoli espressi dalla Sovrintendenza.
Ma le nostre richieste sono rimaste senza esito. Ora ci sarà il processo per verificare la presenza, o meno, di abusi edilizi. Non sappiamo quale ne sarà l’esito: per noi la costruzione del cosiddetto tartarugaio resta, comunque, un autentico “pugno nell’occhio”, un ecomostro.
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