L’Ilva e il fattore tempo – E’ partita la caccia al tesoro per finanziare il piano ambientale

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LE IMPRESE AGROALIMENTARI MOTORE DEL MADE IN ITALY E PROTAGONISTE DELL'EXPORT EUROPEOTARANTO – Più passa il tempo e più abbiamo l’impressione di vivere in una realtà allucinata, dove ognuno dice la sua senza tenere minimamente conto di come stiano effettivamente le cose nella realtà. Invece ci si diverte passando i giorni nel proporre soluzioni inattuabili o a dipingere scenari che non poggiano su alcuna logica. Eppure, basterebbe poco. Chiedere ad esempio al commissario straordinario dell’Ilva Enrico Bondi di presentare quanto prima il piano industriale 2014-2020, è una pretesa inutile, visto che l’ultima legge sull’Ilva approvato lo scorso 6 febbraio, parla chiaro in termini di tempo nel quale Bondi può recuperare le risorse necessarie al piano.

Al comma 11-quinques si legge il passaggio “reperire le risorse necessarie per l’attuazione del piano industriale in tempi compatibili con le esigenze dell’impresa soggetta a commissariamento, e comunque non oltre l’anno 2014”. Dunque, non c’è scritto da nessuna parte che Bondi sia obbligato a presentare nell’immediato il piano industriale: anzi, nella legge vi è stabilito l’esatto contrario. Del resto, la tempistica non è casuale (come riportammo tempo addietro): anche a Roma infatti sapevano e sanno molto bene che l’Ilva Spa non possiede le risorse finanziarie per attuare il piano ambientale approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso venerdì. Non è un caso se nell’ultima legge sia stata prevista la possibilità di attuare un aumento di capitale, facendo ricorso agli attuali soci di minoranza e all’acquisto da parte di investitori terzi di azioni societarie, come paventato da tempo dal commissario Bondi.

E siccome la questione principale è quella di reperire risorse immediatamente spendibili, non è sempre un caso se nella legge al comma 11 punto b vi è scritto che “le azioni di nuova emissione possono essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in denaro”. Comma 11-ter che per logica prevede che “il soggetto o i soggetti che intendono sottoscrivere le azioni offerte in opzione e quelli individuati per il collocamento dell’aumento di capitale presso terzi devono, prima di dare corso all’operazione, impegnarsi, nei confronti dell’impresa soggetta a commissariamento nonché del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’ambiente, a far sì che le risorse finanziarie rivenienti dall’aumento di capitale siano messe a disposizione dell’impresa soggetta a commissariamento ai fini dell’attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale  e  sanitaria e del piano industriale”.

Dunque, le risorse non ci sono. E di investitori terzi non se ne vedono all’orizzonte. Per questo, il tutto è al momento fermo. Non è chiaro dunque a chi si rivolgono i tanti che invocano l’immediata attuazione del piano ambientale, di cui al momento conosciamo soltanto “la proposta” redatta dai tre esperti nominati dall’ex ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, pubblicata lo scorso 11 ottobre, visto che la versione definitiva deve ancora essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Le banche, tra l’altro, per ora restano in attesa. A loro infatti compete l’eventuale copertura finanziaria del piano industriale, di cui hanno potuto prendere visone soltanto della bozza lo scorso 16 gennaio a Milano. Ma è chiaro che non tireranno fuori un euro nel caso in cui non si dovessero trovare le risorse per l’attuazione del piano ambientale. Del resto, essendo esposte per crediti per quasi 1 miliardo di euro, non hanno alcun motivo per esporsi ulteriormente nei confronti dell’Ilva Spa.

L’unica cosa vera è che l’azienda ha immediatamente bisogno di qualcosa come 500 milioni di euro per pagare gli ordini emessi ed avviare la maggior parte dei cantieri. Non fosse altro perché in questo modo soddisferebbe quanto previsto dalla legge approvata lo scorso 6 febbraio, secondo cui l’AIA si ritiene in fase di applicazione se sono in corso l’80% dei lavori previsti dalle prescrizioni. E ciò consentirebbe di evitare un nuovo intervento della magistratura, autorizzata dalla sentenza della Corte Costituzione dello scorso aprile, a fermare gli impianti qualora l’AIA non venga attuata. Il peggio deve ancora venire.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.03.2014)

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