Eppure, soltanto lo scorso 21 gennaio, l’ad di Unicredit si esprimeva in tutt’altri toni (come riportammo su queste colonne). Durante un briefing seguito al Cda del gruppo a Milano, Ghizzoni sosteneva infatti che l’Ilva non fosse “un’azienda in restructuring o da salvare. Ha una solidità patrimoniale importante: non la classificherei tra le aziende in crisi”. “Abbiamo concordato con il commissario Enrico Bondi – proseguiva Ghizzoni – che riceveremo un piano e lo analizzeremo. Ci è stato richiesto in questo momento un contributo in termini di consulenza sul piano, quindi quanto pensiamo sia necessario finanziare e poi il commissario trarrà le sue conclusioni. Ad oggi non è stato chiesto alle banche un intervento finanziario, ma consultivo sul piano stesso per le esigenze finanziarie”.
“Daremo i nostri input – continuava il banchiere – non appena lo vedremo: quello che interessa all’Ilva è come la vedono le banche dal punto di vista della finanziabilità. Non sono solo le banche che possono essere interessate al finanziamento, ci sono anche possibilità con la Banca Europea degli Investimenti”. “Dal punto di vista della corporate governance – concludeva infine Ghizzoni – la situazione non è chiarissima. C’é un commissario e un azionista che di fatto è bloccato. Se guardiamo dal punto di vista del bilancio, patrimoniale e della liquidità, non la classificherei tra le aziende in crisi. Certo, andrà trovata una soluzione definitiva anche sul primo aspetto (quello della governance)”. Nei giorni precedenti, Ghizzoni aveva partecipato all’incontro del 16 gennaio a Milano nella sede dell’advisor dell’Ilva, la Leonardo & Co, ed a quello dell’8 a Roma presso il MiSE (incontri ai quali parteciparono anche il direttore generale del gruppo Intesa Sanpaolo e amministratore delegato di Banca Imi, Gaetano Micciché, Pier Francesco Saviotti, ad di Banco Popolare, Andrea Giovannelli (capo dei ristrutturati), Teresio Testa (responsabile large corporate), Carlo Bianchi (chief lending officer).
L’allarme lanciato dall’ad di Unicredit, non è casuale. La banca in questione, secondo la Centrale rischi di Bankitalia aggiornata ad ottobre scorso, è infatti esposta per 200 milioni di euro di crediti nei confronti dell’Ilva Spa. La quale beneficia dagli istituti di un accordato di 1,855 miliardi, dei quali 1,520 utilizzati: di questi ultimi 534 milioni sono autoliquidanti (factoring), 769 milioni a scadenza, 7,3 milioni a revoca, 197 di garanzie commerciali e 14 di garanzie finanziarie (con uno sconfino di 2 milioni). Togliendo le garanzie, degli 1,3 miliardi residui, Intesa dovrebbe essere esposta per 850 milioni, Banco Popolare per 240, oltre ad Unicredit appunto.
Tra l’altro, Matteo Manfredi, ad di Leonardo & Co, il 16 gennaio presentò alle banche la bozza del piano industriale dell’Ilva 2014-2020 “griffato” McKinsey & Company. Che prevede per due anni un bilancio ancora in rosso per l’Ilva. Nel 2013 la perdita sarebbe di oltre 500 milioni di euro (con ricavi inferiori a quelli realizzati nel 2012 che hanno sfiorato i 4 miliardi di euro anche se il bilancio ancora non si vede), mentre nel 2014 si prevede una perdita di 200 milioni di euro con ricavi in aumento che sfioreranno i 5 miliardi di euro. Il ritorno al segno “+” nel bilancio Ilva, giungerebbe così nel 2015 con ricavi per oltre 5 miliardi di euro, previsione che si protrarrebbe addirittura per i cinque anni successivi.
Le banche (che poi sono le stesse che nel mese di settembre riattivarono i fidi della Riva Acciaio facendo ripartire ben 18 imprese), dunque, hanno un ruolo non secondario. Ma sono anche sotto scacco: perché l’unico modo che hanno per riottenere i crediti di cui sopra, è che Ilva continui a produrre acciaio: per farlo, cioè per non chiudere i battenti prima del previsto, è necessario però realizzare i lavori di risanamento previsti dal piano ambientale, approvato ieri, con delle risorse finanziarie che a tutt’oggi non ci sono. Così come non ci sono quelle per la manutenzione degli impianti, oramai non più rinviabile.
Si dice che le risorse arriveranno con l’aumento di capitale che Bondi è autorizzato a varare dall’ultima legge dello scorso 6 febbraio. Ma investitori terzi pronti ad acquistare azioni dell’Ilva Spa al momento non ve ne sono. Così come è impossibile attingere risorse dal Fondo unico Giustizia (cosa prevista dalla legge del 6 febbraio), dove sono depositati 1,2 miliardi su 1,9 che la Procura di Milano ha sequestrato al gruppo Riva, visto che il processo deve ancora partire. Si vocifera di un prestito ponte da parte della Cassa Depositi e Prestiti che si aggira sui 4-550 milioni di euro: ma anche questa, al momento, è soltanto un’ipotesi.
Senza risorse per il piano ambientale, Bondi non potrà presentare il piano industriale. Ed in tanti, troppi a dir la verità, dimenticano che i Riva, attualmente liberi e rientrati in possesso dei beni liquidi ed immobili dopo la sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, hanno ancora voce in capitolo. Ecco perché il Piano ambientale approvato ieri (che ancora non conosciamo perché dovrà essere prima pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) è soltanto un mero passaggio burocratico. Nulla più. Ne vedremo ancora delle belle.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.03.2014)
Questa truffa sta dilagando in tutta Italia, e questa volta la storia si ripete nel…
Risparmiare sulla bolletta dell’energia elettrica non è mai stato così semplice: bastano solo sei mosse…
Ansia e stress sono nemici prediletti del corpo; ne soffriamo tutti in maniera differente, ma…
Il tostapane è uno di quegli elettrodomestici che, senza ombra di dubbio, ci mette più…
Dato che il Natale si avvicina sempre di più, è il momento di rimboccarsi le…
Le polpettine alla Nutella sono il dessert più buono che potrai mangiare in questo periodo…