Inevitabile affrontare con il prete anti-camorra il tema delle tutele negate e delle due più grandi emergenze ambientali e sanitarie nazionali, solo in apparenza affrontate da istituzioni che arrivano sempre troppo tardi e in maniera approssimativa, come accaduto per la legge in questione. All’inizio don Maurizio aveva accolto con favore l’approvazione del decreto voluto dal Governo Letta. «La notizia era positiva perché, dopo trent’anni, il Governo si occupava finalmente della Terra dei Fuochi – racconta – questa legge, però, è nata asfittica, con un peccato originale: si preoccupa di arrestare chi appicca il rogo in aperta campagna (il Rom, l’immigrato, il contadino, il disoccupato), senza toccare i mandanti. La domanda da farsi era un’altra: da dove arriva quel materiale tossico da bruciare? Chi lo fornisce? E’ mancata proprio la volontà di sciogliere questo nodo. Motivo per cui molti nostri volontari si sono indignati».
Solo pochi minuti prima della nostra intervista, don Maurizio era stato contattato da un giornalista della provincia di Foggia. «Da quelle parti sono molto preoccupati perché dalla Campania stanno arrivando camion carichi di rifiuti industriali – riferisce – non so se sia vero o no. Ma la cosa non mi meraviglia affatto perché ci sono industrie che stanno continuando a lavorare in nero e a produrre scarti tossici. Ora che in Campania sono aumentati i controlli, questi rifiuti sono destinati a finire altrove. E dove se non nelle Regioni più vicine e, quindi, nella provincia di Foggia?». Un circolo vizioso che rischia di coinvolgere tutti. Concentrare i controlli solo su alcune parti di territorio, infatti, serve a poco. Il problema si sposta da un angolo d’Italia ad un altro.
Scontato, poi, il parallelo tra la Terra dei Fuochi e la terra delle ciminiere. «Sono problemi completamente diversi – sottolinea don Maurizio – nel caso dell’Ilva l’origine dell’inquinamento è ben definita. Si sa che proviene da quella industria. A Taranto c’è anche la questione occupazionale, riguardante migliaia di persone, che non può essere elusa a cuor leggero. Per alcuni aspetti, il problema della Terra dei Fuochi è molto più complesso. Per anni sono state interrate tonnellate di rifiuti industriali. Noi stessi abbiamo aperto gli occhi troppo tardi. E gli ambientalisti di vecchia data hanno ragione a rimproverarci».
Ma come vive questo ruolo di paladino della legalità, della salute e dell’ambiente, un uomo di Chiesa? «Io sono solo un prete – ammette – ho lavorato per dieci anni in ospedale, poi ho lasciato il posto di caporeparto. Sono diventato prete per fare il prete. Non voglio diventare altro». Eppure, gli facciamo notare, la sua azione non può passare inosservata. In un contesto presidiato dalla Camorra, dove anche la Chiesa deve farsi perdonare qualche “distrazione” di troppo, lui rappresenta una mosca bianca. E di preti combattivi come lui ci sarebbe stato bisogno anche a Taranto, dove le ambiguità della Chiesa sono emerse in modo eclatante.
«Io non so se la Chiesa è stata distratta – risponde – noi abbiamo sempre predicato che Dio ha messo l’uomo nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse. Forse, la Chiesa non ha ritenuto di dover scendere in campo in prima persona. Quando sono stato ascoltato dalla commissione Ambiente del Senato, non sapevo che fare. Offendere i senatori non è nella mia indole – aggiunge ironicamente – ma ho detto la verità. Per spiegare cosa ci faceva un prete in questa storia mi sono affidato ad una battuta. Mio papà diceva: dove non corrono i cavali (i politici) devono correre gli asini. Noi stiamo facendo un lavoro di supplenza. E’ mio dovere formare le coscienze, parlare ai giovani, fare catechesi. Non dovrebbe essere mio dovere girare tra le discariche della Campania».
Per chi si trova a incarnare questo ruolo di supplenza della politica l’accusa di compromettere le attività economiche è sempre in agguato. Così come accaduto nei confronti dei magistrati di Taranto, “rei” di aver aperto un’inchiesta sull’Ilva, anche don Maurizio Patriciello ha dovuto subire aspre critiche per il suo ruolo di denuncia. «In un primo momento, i contadini hanno reagito con rabbia nei miei confronti – ricorda – io li capisco. Hanno subito un danno economico. Ma non possiamo dire che il problema non esiste per salvare l’agricoltura. E’ una cosa che non dirò mai. Dobbiamo cercare di ottenere una mappatura certa del territorio per indicare i terreni inquinati, da non usare più (no food) e quelli buoni, a cui va riconosciuto un marchio di qualità. Non possiamo lasciare una mamma che va a fare la spesa col dubbio: sto alimentando i miei figli o li sto avvelenando? E’ qualcosa di disumano».
Alessandra Congedo
Foto di Maurizio Ingenito
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