Gilli è il nuovo magistrato che, in veste di giudice per l’udienza preliminare, dovrà anche esprimersi sulla richiesta di rinvio a giudizio fatta nei giorni scorsi dalla Procura di Taranto nei confronti dei 53 indagati per l’inquinamento dell’Ilva, di cui 50 persone fisiche e 3 società. Queste ultime sono l’Ilva, la Riva Fire e la Riva Forni Elettrici. Tra i 50 indagati, con ipotesi di reato diverse, ci sono invece Emilio Riva con i figli Nicola e Fabio, azionisti dell’Ilva, il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, gli ex direttori del siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, l’ex consulente Ilva, Girolamo Archinà, personaggio chiave dell’inchiesta, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e il sindaco di Taranto, Ezio Stefano. Il dissequestro delle quote Alitalia possedute dai Riva, così come il ritorno al gruppo industriale di una serie di beni e alla stessa Ilva delle società controllate – sulle quali governa il commissario Enrico Bondi -, è il seguito operativo di quanto disposto dalla Corte di Cassazione a fine dicembre scorso col deposito della sentenza un mese dopo. Accogliendo, infatti, una serie di ricorsi presentati dalle parti contro il blocco di beni e conti per 8,1 miliardi di euro – anche se poi il sequestro effettivo è stato inferiore – la Cassazione ha annullato senza rinvio tutti i provvedimenti del gip Todisco.
A presentare opposizione erano stati il commissario Bondi per conto delle controllate dell’Ilva, nonchè lo stesso gruppo Riva per conto di Riva Fire, Riva Forni Elettrici, Riva Acciaio, Riva Energia e Muzzana Trasporti. Al gip Todisco che contestava ai Riva mancati investimenti negli anni per 8,1 miliardi, ritenuta dai periti anche la somma necessaria a mettere in sicurezza la fabbrica, e di qui anche il sequestro preventivo per equivalente, la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza per Riva Fire, ha risposto affermando che si può individuare un profitto da assoggettare prima a sequestro e poi a confisca; è necessario che vi sia “quale diretta conseguenza della commissione del reato, uno spostamento reale di risorse economiche, ossia una visibile modificazione positiva del patrimonio”. Nel provvedimento per Riva Acciaio e Riva Energia, invece, i giudici della Cassazione avevano scritto che il gip Todisco, nel disporre il sequestro per 8,1 miliardi, non aveva motivato in che modo quelle somme siano “profitto dei reati associativi e ambientali” di cui sono accusate le persone a capo della società “controllante” e non spiega perchè debbano essere considerati “profitto del reato” e come tali aggredibili con una misura cautelare. La Cassazione aveva, infine, evidenziato che nel provvedimento relativo alle altre società del gruppo Riva “non è possibile desumere alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società controllate e la destinazione impressa al profitto illecito che sarebbe stato ottenuto dalle società indagare e controllanti Riva Fire e Ilva spa”. Per questo, quindi, sono stati ordinati “il dissequestro e la restituzione delle cose sequestrate agli aventi diritto”. (Agi)
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