Ilva, gup a Taranto dissequestra azioni Alitalia dei Riva
TARANTO – Esordisce con un dissequestro nei confronti del patrimonio del gruppo Riva il gup titolare dell’inchiesta sull’Ilva di Taranto. Accogliendo una richiesta della Procura, il giudice Vilma Gilli ha infatti firmato il dissequestro delle quote azionarie Alitalia possedute dalla capogruppo Riva Fire – valore 71 milioni di euro – sequestrate nello scorso maggio nell’ambito del provvedimento da 8,1 miliardi di euro disposto dal gip Patrizia Todisco su beni e conti del gruppo Riva.
Gilli è il nuovo magistrato che, in veste di giudice per l’udienza preliminare, dovrà anche esprimersi sulla richiesta di rinvio a giudizio fatta nei giorni scorsi dalla Procura di Taranto nei confronti dei 53 indagati per l’inquinamento dell’Ilva, di cui 50 persone fisiche e 3 società. Queste ultime sono l’Ilva, la Riva Fire e la Riva Forni Elettrici. Tra i 50 indagati, con ipotesi di reato diverse, ci sono invece Emilio Riva con i figli Nicola e Fabio, azionisti dell’Ilva, il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, gli ex direttori del siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, l’ex consulente Ilva, Girolamo Archinà, personaggio chiave dell’inchiesta, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e il sindaco di Taranto, Ezio Stefano. Il dissequestro delle quote Alitalia possedute dai Riva, così come il ritorno al gruppo industriale di una serie di beni e alla stessa Ilva delle società controllate – sulle quali governa il commissario Enrico Bondi -, è il seguito operativo di quanto disposto dalla Corte di Cassazione a fine dicembre scorso col deposito della sentenza un mese dopo. Accogliendo, infatti, una serie di ricorsi presentati dalle parti contro il blocco di beni e conti per 8,1 miliardi di euro – anche se poi il sequestro effettivo è stato inferiore – la Cassazione ha annullato senza rinvio tutti i provvedimenti del gip Todisco.
A presentare opposizione erano stati il commissario Bondi per conto delle controllate dell’Ilva, nonchè lo stesso gruppo Riva per conto di Riva Fire, Riva Forni Elettrici, Riva Acciaio, Riva Energia e Muzzana Trasporti. Al gip Todisco che contestava ai Riva mancati investimenti negli anni per 8,1 miliardi, ritenuta dai periti anche la somma necessaria a mettere in sicurezza la fabbrica, e di qui anche il sequestro preventivo per equivalente, la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza per Riva Fire, ha risposto affermando che si può individuare un profitto da assoggettare prima a sequestro e poi a confisca; è necessario che vi sia “quale diretta conseguenza della commissione del reato, uno spostamento reale di risorse economiche, ossia una visibile modificazione positiva del patrimonio”. Nel provvedimento per Riva Acciaio e Riva Energia, invece, i giudici della Cassazione avevano scritto che il gip Todisco, nel disporre il sequestro per 8,1 miliardi, non aveva motivato in che modo quelle somme siano “profitto dei reati associativi e ambientali” di cui sono accusate le persone a capo della società “controllante” e non spiega perchè debbano essere considerati “profitto del reato” e come tali aggredibili con una misura cautelare. La Cassazione aveva, infine, evidenziato che nel provvedimento relativo alle altre società del gruppo Riva “non è possibile desumere alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società controllate e la destinazione impressa al profitto illecito che sarebbe stato ottenuto dalle società indagare e controllanti Riva Fire e Ilva spa”. Per questo, quindi, sono stati ordinati “il dissequestro e la restituzione delle cose sequestrate agli aventi diritto”. (Agi)