Come si legge in un comunicato diramato nella giornata di ieri dall’Authority, il rinvio è stato dovuto al fatto che il consorzio di imprese ha comunicato di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce e, pertanto, nonostante le opposizioni al rinvio già formalizzate dall’Avvocatura dello Stato e dalla difesa del ricorrente per le rappresentate motivazioni di pubblico interesse legate alla urgente necessità di realizzazione dell’opera ed alla problematica occupazionale, il Collegio ha dovuto rinviare per forza di cose la discussione al 2 aprile 2014.
Chiaramente, quella presa dal consorzio vincitore della gara per l’assegnazione dei lavori per l’ammodernamento della banchina, è una mossa per prendere tempo, oltre che dal sapore di velata ripicca. Sia come sia, come sempre di mezzo ci finisce Taranto e il suo futuro. Sembra quasi di assistere ad un beffardo scherzo del destino: dopo aver ottenuto l’ok ai dragaggi (dopo un’attesa di oltre un decennio), ora si bloccano i lavori alla banchina. Il problema è che il dragaggio dei fondali andrà realizzato in contemporanea all’adeguamento della banchina del terminal container. Dunque, è come essere tornati al punto di partenza. Tra l’altro, come riportammo giorni addietro, il dragaggio non potrà avere inizio se prima non viene creata la vasca di colmata, opera a mare nella quale depositare i fanghi del dragaggio. Per far fronte a quest’ennesimo ostacolo, nell’ultima riunione al DISET dello scorso 25 febbraio, è stata valutata la possibilità di utilizzare, in alternativa alla vasca di colmata per il terminal container, quella che è in fase di costruzione da parte dei soggetti promotori della piastra logistica. Quest’ultima vasca, per la quale si prevedono 15 mesi di lavori, verrebbe, infatti, completata prima di quella prevista nel pacchetto delle opere del terminal container: ovvero entro l’estate del 2015. Ma al momento si tratta soltanto di un’idea.
Intanto, mentre il porto di Taranto resta imbavagliato nelle maglie della burocrazia, perdendo ulteriormente appeal nel traffico merci (a tutt’oggi non sono stati ancora resi noti dall’Authority i dati di gennaio e febbraio), altrove le cose vanno diversamente. Con Evergreen e TCT sempre più dubbiose sul continuare a puntare sullo scalo ionico. E’ stato infatti di recente pubblicato uno studio di “Drewry Maritime Research”, come segnala il sito trasportoeuropa.it, nel quale si evidenzia come “pochi scali di transhipment considerati strategici si spartiranno una fetta sempre più grande del business, mentre ai piccoli terminal non resterà che trovare nuove nicchie di mercato oppure una compagnia di navigazione cui affiliarsi”.
Tutto, o quasi, si gioca sulle nuove ed enormi portacontainer, impiegate sulle principali rotte est-ovest, per far approdare le quali Taranto ha un’unica strada: quella dei dragaggi appunto. In Italia ci sono tre scali di transhipment per trasbordare elevati volumi di container dalle grandi navi madri a unità più piccole, cui spetta la distribuzione nei porti di destinazione finale in Sud Europa: Gioia Tauro che movimenta annualmente 3,1 milioni di teu (dati 2013), Cagliari 656mila teu e Taranto meno di 200mila teu. Tra gli scali con le migliori prestazioni del Mediterraneo per il 2013 (in termini di crescita annua) figurano, in particolare, Gioia Tauro (+13% sul 2012), lo scalo marocchino di Tanger Med (circa 2,6 milioni teu), il porto greco del Pireo (2,5 milioni di teu) e quello turco di Ambarli (oltre 3,3 milioni teu).
Il sito trasportoeuropa.it dedica ampio spazio allo studio in questione, dove si legge inoltre che gli analisti di Drewry, oltre a sottolineare come in assenza di una certa massa critica di volumi alcuni terminal si dimostrano poco competitivi, pongono anche l’accento sul fatto che, “in presenza di limiti infrastrutturali che impediscono l’ingresso delle grandi navi portacontainer, nemmeno la presenza nella compagine azionaria dei global carrier o di un grande gruppo terminalista garantisce elevati livelli d’attività”. È appunto il caso del Taranto Container Terminal (partecipato al 10% da TO Delta, al 40% Evergreen e al 50% Hutchison Port Holdings) passato dai 900mila teu del 2006 ai 150mila del 2013.
Il sito trasportoeuropa.it riporta le dichiarazioni di Pierluigi Maneschi, presidente di TO Delta nonché agente generale per l’Italia della compagnia taiwanese Evergreen, che devono suonare come l’ennesimo campanello d’allarme: “In dieci anni abbiamo investito nel terminal 300 milioni di euro e siamo in attesa dal 2006 che venga avviato l’escavo dei fondali. Ogni mese perdiamo 2 milioni di euro e nel frattempo compagnie come Evergreen e MSC hanno portato le navi altrove, perché a Taranto le portacontainer di ultima generazione non possono entrare”.
Inoltre si apprende che l’altro socio del TCT (Taranto Container Terminal) Hutchison, terminalista cinese numero uno al mondo, ha appena annunciato nuovi investimenti nel porto di Barcellona per 150 milioni di euro. Maneschi si dice convinto che, oltre a Gioia Tauro, “in Italia ci sarebbe sicuramente mercato per un altro terminal di transhipment in Sud Italia. In Italia, però, è impossibile lavorare per l’eccessiva burocrazia e perché non viene nemmeno applicata in maniera uniforme la legge portuale 84/1994”. Il tempo stringe. E qualcosa ci dice che terminare la gran parte dei lavori entro dicembre 2015, come sostiene ancora oggi l’Autorità Portuale di Taranto, rischia di restare soltanto una bella utopia.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 08.03.2014)
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