Mar Piccolo, quale futuro per la nostra “grande bellezza”? – Ipotesi e scenari
TARANTO – La grande bellezza è a portata di mano. Basta uscire dal guscio della solita Taranto, quella ripiegata su stessa, per scoprire uno scrigno dal valore inestimabile. E’ lì, a pochi chilometri dalle ciminiere fumanti, pronto ad accogliere sguardi curiosi e attenti, ad offrire immagini e suggestioni di rara intensità. Per decenni abbandonato a se stesso, costretto a convivere con veleni di ogni tipo, il mar Piccolo si appresta a vivere mesi cruciali per il suo futuro (e non solo). Dal suo destino dipende anche quello dei tanti mitilicoltori che fino al luglio del 2011 (data in cui è scattato il divieto di prelievo e coltivazione nel primo seno da parte della Asl) hanno vissuto grazie alla vendita dei mitili coltivati nelle sue acque.
A fine marzo, Arpa Puglia dovrebbe consegnare alla Cabina di Regia sulle bonifiche del Sin di Taranto e Statte gli esiti di uno studio condotto insieme a Cnr, Politecnico di Bari e Conisma. Finora è stata completata la prima fase, quella sulla “Predisposizione del modello di circolazione e risospensione dei sedimenti”. La seconda, invece, riguarda l’individuazione delle fonti contaminanti ancora attive e la portata dell’inquinamento prodotto. Lo studio fornirà un modello concettuale sito-specifico e una stima del “rischio” ambientale associata alle varie opzioni di intervento. Inoltre verranno indicate le superfici del Mar Piccolo (in ettari) oggetto del/degli interventi di bonifica e/o MISE (messa in sicurezza d’emergenza).
Al termine dell’ultima riunione della Cabina di regia (il 21 febbraio scorso), durante una conferenza stampa, il commissario straordinario Alfio Pini aveva dichiarato: “Stiamo aspettando di avere da Arpa Puglia notizie complete rispetto al lavoro svolto per affrontare il problema dell’inquinamento del mar Piccolo nella sede opportuna: la comunità scientifica mondiale”. Al momento, quindi, non è ancora emerso uno scenario certo in merito alle soluzioni che saranno scelte per bonificare questo prezioso specchio d’acqua contaminato da diossine, pcb e metalli pesanti, drammatica eredità di più fonti inquinanti (area industriale, discariche, arsenale militare).Tra esperti e ambientalisti, in tanti vedono il dragaggio con il fumo negli occhi, quasi fosse un rimedio peggiore del male.
IPOTESI DRAGAGGIO – Fonti ben informate ci riferiscono che esistono tecniche e tecnologie (anche brevettate) che permettono di minimizzare gli impatti durante le operazioni di dragaggio, sia con l’utilizzo di draghe meccaniche che con l’impiego di draghe idrauliche. Nel caso dei Sin, inoltre, c’è chi ritiene opportuno utilizzare in abbinamento alle cosiddette “draghe ambientali” (che limitano la torbida) sistemi di confinamento/marginamento delle aree oggetto degli interventi (come panne e/o palancole metalliche) e l’attuazione – prima, durante e post operam – di un adeguato monitoraggio ambientale degli effetti.
Va precisato che la progettazione degli interventi da adottare nel primo seno di mar Piccolo è molto più complessa di quanto possa apparire. Oltre all’ipotesi del dragaggio, ci sarebbero altre opzioni: il capping (copertura dei fondali) o affidarsi all’evoluzione naturale del sistema. In questo caso, ci sarebbe un costante monitoraggio per valutare come il mar Piccolo, in assenza di fonti contaminanti ancora attive, sia in grado di autobonificarsi. Al cospetto di una scelta così delicata, che tocca da vicino il futuro del mar Piccolo e di attività storiche come quella mitilicola, il commissario straordinario Pini appare intenzionato a ricorrere alla comunità tecnico-scientifica internazionale con la volontà di affidarsi alle “mani migliori”, magari confidando nella possibilità di coinvolgere anche aziende e know how italiano.
STOP DEFINITIVO ALLE FONTI INQUINANTI – Fortemente contraria all’ipotesi dragaggio è Rossella Baldacconi, dottore di ricerca in Scienze Ambientali, autrice di un’interessante relazione sul mar Piccolo, prodotta per il Wwf e pubblicata sul nostro sito. “Ormai sono convinta che nessuna bonifica del primo seno sarà utile, sia essa drastica e invasiva come il dragaggio, sia blanda e compatibile come una qualsiasi metodologia di bioremediation – spiega la Baldacconi – non ritengo opportuno neanche il capping”.
Il motivo è presto detto: “Perché le fonti inquinanti continuano ad immettere costantemente contaminanti nel sistema. Per fonti inquinanti mi riferisco agli input conosciuti e sconosciuti di PCB, al fall out di diossine emesse dall’area industriale, al richiamo grazie alle idrovore dell’ILVA di acqua dal Mar Grande e dal Golfo di Taranto contaminata da IPA. Insomma non ha alcun senso bonificare se l’inquinamento continua. È come voler pulire un pavimento sul quale si continua a gettare incessantemente polvere”.
E allora quale sarebbe la soluzione ideale per il mar Piccolo? “Nell’attesa utopistica che l’inquinamento finisca e che la natura depuri autonomamente l’ambiente – risponde – penso che l’unica possibilità di vera rinascita per il mar Piccolo sia quella di istituire un’AMP, un’Area Marina Protetta. Sarebbe la prima in Italia in un posto inquinato ma al tempo stesso ricchissimo di vita marina”.
La Baldacconi accenna a studi condotti in immersione nel primo seno, anche nelle aree più inquinate: “Ho potuto constatare l’esistenza di una comunità marina unica nel suo genere, in cui vivono animali rari, protetti dalla legislazione vigente, tra cui cavallucci marini, pesci ago, spugne giganti, pinne nobili e altro ancora. La bellezza della vita sottomarina del mar Piccolo è conosciuta già da molti subacquei e da fotografi professionisti che vengono qui da tutta Italia, di nascosto, e si immergono per immortalare gli animali marini”.
Aggiunge la Baldacconi: “I mitilicoltori potrebbero piantare e gestire nuovi filari di pali, non ahimè per allevare le cozze, ma per creare percorsi subacquei per i turisti. I coloratissimi animali marini filtratori infatti si insediano facilmente sui substrati duri artificiali come appunto i vecchi pali della mitilicoltura. Innumerevoli sarebbero le attività da poter sviluppare nell’AMP, oltre naturalmente al turismo subacqueo: dalla ricerca scientifica alla divulgazione nelle scuole, alla nascita di un artigianato legato al mare (fotografie, quadri, lavori in legno, con le conchiglie)”. Proposta suggestiva su cui faremo i dovuti approfondimenti.
MITILICOLTURA: UN RITORNO POSSIBILE? – Tra coloro che da sempre studiano e amano il mar Piccolo c’è anche Giuseppe Portacci, tecnico in biologia del mare. “Il primo seno del Mar Piccolo, secondo la tradizione, è il bacino d’origine delle attività secolari di molluschicoltura – spiega – Tuttora riveste un ruolo strategico insostituibile: la gran parte del seme per lo start up delle attività viene captato in tale specchio d’acqua. Andrebbe tutelata, anche durante le eventuali operazioni di messa in sicurezza la sua naturale attitudine di area nursery. Un ritorno, non solo deve essere possibile, ma necessario per dare continuità produttiva anche agli altri bacini (mar Grande e secondo seno), a condizione che ci sia la reale volontà politica di avere la molluschicoltura tra le attività economiche della nostra città”.
Portacci sottolinea che “il bacino bimare ha dato una grande prova della sue capacità di natural restoring in occasione della chiusura degli scarichi urbani negli anni passati. La “madre” di ogni attività di recupero del Mar Piccolo passa inevitabilmente dalla individuazione e messa in sicurezza delle fonti inquinanti. Solo successivamente, si potrebbe valutare la migliore tecnica di risanamento in ambito però pilota: opzione cd zero (natural restoring), capping, dragaggio”.
Dragaggio: un termine ricorrente che anche in questo caso fa drizzare le antenne. “Ritengo questa opzione carica di incognite sulla scorta, soprattutto, di quanto riportato dalla letteratura scientifica. Qualsiasi previsione di ritorno della molluschicoltura, in tal caso, potrebbe essere non solo aleatoria nei tempi e nei modi, ma anche pericolosa per i rischi di contaminazioni del secondo seno e mar Grande durante le operazioni di dragaggio”. Insomma, è questo il nodo cruciale: le istituzioni devono dire chiaramente quale sarà la destinazione d’uso del bacino. E per Portacci non ci sono dubbi: “Una sola scelta sarebbe giusta: destinare il primo seno alla molluschicoltura”. A noi non resta che aspettare e vigilare. Continueremo a seguire passo passo il percorso della Cabina di Regia sperando che alla fine prevalgano gli interessi del territorio e della comunità. E che quest’ultima non continui ad essere troppo “distratta”.
Alessandra Congedo