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Ilva, arriva il piano ambientale?

TARANTO – A detta del sub commissario Ilva Edo Ronchi, “domani (oggi per chi legge) ci sarà un incontro con il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti” per fare il punto della situazione dell’Ilva e del piano ambientale. Il cui Dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) l’ex ministro Andrea Orlando, prima di lasciare il ministero dell’Ambiente, ha trasmesso alla presidenza del Consiglio. Una volta che il ministro Galletti avrà preso visione del testo, andrà realizzato il cosiddetto concerto con i ministeri della Sanità e dello Sviluppo economico (oltre che dell’Ambiente), dopo di che il Consiglio dei ministri dovrà approvare il Dpcm e pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale. Certo è che il piano ambientale, pronto da giorni. secondo il decreto legge 136 convertito in legge lo scorso 6 febbraio, avrebbe dovuto essere approvato entro il 28 febbraio, ovvero quest’oggi. Dunque, ancora una volta si è andati in deroga ad una legge. Tra l’altro al momento non è dato sapere cosa sia cambiato nel “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitarie” redatto dai tre esperti nominati dall’ex ministro dell’Ambiente Andrea Orlando il 14 luglio dello scorso anno, visto che sino a ieri sera sul sito ufficiale del ministero era ancora presente la “proposta” della rimodulazione della tempistica degli interventi previsti dall’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata nell’ottobre 2012, presentata lo scorso ottobre.

Ciò detto, stamane Ronchi potrà dire ben poco al neo ministro dell’Ambiente. Visto che il nodo da sciogliere resta sempre lo stesso: le risorse finanziarie, che a tutt’oggi ancora mancano, per attuare il piano ambientale. Risorse che secondo i conti redatti da Bondi e Ronchi, dovrebbero ammontare a ben 3 miliardi da investire entro l’agosto del 2016, quando per effetto della legge 89 del 4 agosto 2013, terminerà il commissariamento dell’Ilva con l’azienda che, stando all’attuale situazione finanziaria dell’Ilva Spa, tornerà nelle mani della famiglia Riva. Probabilmente questa mattina Ronchi ripeterà al ministro Galletti ciò che va ripetendo da tempo e che ha ribadito lo scorso weekend: “Abbiamo una situazione finanziaria molto critica e il mercato, in questa fase, certo non va come auspicheremmo. Pensare quindi di finanziare i lavori di risanamento dell’Aia, l’innovazione tecnologica, e poi pagare stipendi e fornitori, solo col ricavato dell’attività industriale, è ovvio che non ce la facciamo – insiste Ronchi -: diverso, invece, poter disporre di un aumento di capitale per affrontare almeno la parte del risanamento”.

L’aumento di capitale, ennesima manovra prevista per legge, da tempo unica via d’uscita per evitare il fermo degli impianti o comunque una fabbrica con un’attività produttiva ai minimi termini, che però anche in questo caso a tutt’oggi nessuno è in grado di dire come sarà effettuata. Non è infatti chiaro chi dovrà immettere nelle casse dell’Ilva Spa risorse liquide di tale portata tali da poter permettere all’azienda di effettuare i lavori previsti dall’AIA, oltre a quelli non più rinviabili sulla manutenzione di svariati impianti dell’area a caldo e di altri reparti. Tra l’altro, come fu spiegato lo scorso gennaio dallo stesso commissario Enrico Bondi, le banche saranno chiamate a finanziare il piano industriale (gli stessi istituti di credito che peraltro sono ancora esposti nei confronti della società per oltre un miliardo di euro): da dove arriveranno dunque le risorse per il piano ambientale? Pressoché certo il fatto che i Riva (a cui Bondi potrà rivolgersi come previsto dalla legge 6/2014) non investiranno un solo euro. Bondi, così come previsto dalla legge dello scorso 6 febbraio, è infatti autorizzato ad effettuare l’aumento di capitale “a pagamento nella misura necessaria ai fini del risanamento ambientale”, ed offrire le azioni “in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute”, con “le azioni di nuova emissione che potranno essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in denaro”. Bondi potrebbe anche “ricorrere a investitori terzi per l’aumento del capitale sociale”, di cui però a tutt’oggi non se ne vede l’ombra (anche se si continuano a fare i nomi del gruppo indiano Ancelor-Mittal e di una cordata italiana con a capo il gruppo Marcegaglia). Inoltre, ed è questa che sin dal primo momento abbiamo definito la parte più “strana” della legge, Bondi potrà chiedere all’autorità giudiziaria lo svincolo delle somme sequestrate alla proprietà anche per reati diversi da quelli ambientali (quelli derivanti dal reato di frode fiscale contestato al gruppo dalla Procura di Milano che ha già provveduto al sequestro di 1,2 miliardi di euro ed ha scovato nel paradiso fiscale di Jersey altri 700 milioni di euro). Ma come già riportato nei giorni scorsi, da Roma arrivano segnali contrastanti e discordanti (dando conferma ai dubbi che su queste colonne abbiamo espresso sin dallo scorso dicembre): l’unico neo della legge, sussurrano voci ben informate, riguarda proprio le emergenze ambientali e industriali sul Fondo unico giustizia. Un fondo ad hoc istituito per reperire risorse per le bonifiche dalla confisca dei beni provenienti dalle attività della criminalità organizzata e dai guadagni legati agli eco-reati (dove tra l’altro si trovano proprio i soldi sequestrati ai Riva dalla Procura di Milano). “La norma – ci hanno riferito da Roma – è leggera e di difficile applicazione. E’ scritta male e non si è riusciti ad intervenire”. Quanto meno oggi speriamo di ricevere notizie dettagliate sul piano (prenderne visione probabilmente sarebbe troppa grazia). In attesa che questa pantomima messa in scena da diversi anni termini quanto prima.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 28.02.2014)

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