Certo la peggior politica ci ha insegnato come i tormentoni ripetuti all’infinito finiscano per avere credito su chi li ascolta, ma noi siamo ancora del parere che quanto ci dicono debba passare dalla testa, senza delegare anche il pensiero. Bene, chi di noi non vorrebbe che tutti questi lavori, fra finanziamenti reali e solo presunti, non vadano a finire in mano a dei nostri concittadini? Nessuno, tanto meno noi. Si tratterebbe di lavoro e denaro per ridare ossigeno alla nostra economia e alla serenità di tante famiglie. Però, dopo le sollecitazioni di Confindustria e ANCE (associazione dei costruttori edili) su tutti, ci è sorta una
domanda semplice, semplice: ma perché negli appalti pubblici le ditte locali premono per le assegnazioni dirette, le procedure ristrette o negoziate e, ancor più, per criteri che non sono neppure contemplati dalle leggi, quali bandi in cui favorire le imprese del territorio? forse una risposta l’abbiamo trovata spulciando l’elenco degli appalti a procedura aperta aggiudicati di recente dal Comune di Taranto (li trovi QUI). Diamoci un’occhiata insieme: per quello relativo allavideosorveglianza del mar Piccolo per il contrasto dei reati ambientali, del valore di quasi 300.000 euro, ha vinto una ditta di Scafati, ma in graduatoria ce n’è una di Monza, una di Roma, una di Napoli e poi Barletta, Catania e ancora della provincia di Napoli. Andiamo avanti. Per l’indagine sulla falda sotterranea dei Tamburi che valeva oltre 100.000 euro ha vinto una ditta di Mesagne. In graduatoria ne figurano una di Carrara, una di Caserta, una di Matera e poi Torino, Squinzano, Altamura, Padova, Pisticci, Ferrara, Milano e Rimini.
Prendiamo poi la gara per i lavori di caratterizzazione al cimitero di San Brunone, appalto aggiudicato ad un’impresa di Rimini, seconda una di Carrara. Vi hanno partecipato ditte di Mesagne, Trento, Agrigento, Pisticci, Casoria, Firenze, Caserta, Treviso, Mantova e Catania. Venendo al porto, invece, a dicembre sono stati aggiudicati a una ditta veneta i lavori da quasi 50 milioni di euro, per il consolidamento del molo polisettoriale. Seconda una ditta barese, terza una campana. Si intravedono ditte locali giusto nell’appalto assegnato appena poche settimane fa dalla Provincia a una ditta bolognese, in merito al II lotto della direttrice Punta Penna-Talsano, per 18 mln di euro. Trentasei ditte propòstesi, di cui tre sono ATI di Massafra, San Giorgio e Taranto. Nessuna di queste ha sfiorato l’aggiudicazione.
Bene, ci fermiamo qui altrimenti nessuno arriverà alla fine di questo post.Avete notato niente? non è che le imprese di Taranto si sono classificate seconda, terza o quarta, no. Nella stragrande maggioranza dei casi non figurano affatto! La conclusione di questa nostra indagine è che, quando le procedure sono aperte, le ditte tarantine letteralmente scompaiono. Accade per gli appalti grossi, come per quelli piccoli, col settore pubblico e con quello privato, nell’edilizia come nei servizi. Chi di voi lavori in aziende in cui si procede con appalti aperti potrà verificarlo da sé. Basterà chiedere da dove vengono le imprese di servizi, di logistica, di informatica, o quelle di generi di ristoro. Ora, se le nostre imprese non riescono a partecipare (nemmeno aggiudicarsi) a gare locali, figuriamoci se possono farlo in quelle nazionali. Gli appalti più grossi poi richiedono spesso la necessità di sapersi consorziare, anche temporaneamente. Sappiamo farlo? Cosa manca quindi, coraggio o preparazione?
Se fosse la seconda, potremmo accettare che porto, bonifiche, ambientalizzazione e Città vecchia finiscano in mani non del tutto affidabili, consolandoci col fatto che sono però mani tarantine? Ecco, quando parliamo di città che deve rialzarsi, rimboccarsi le maniche, farsi da sé, intendiamo che si debba chiudere definitivamente con le ricette fallimentari del passato: assistenzialismo e scorciatoie. Ci vogliono volontà e dignità per diventare grandi, a costo di qualche sacrificio iniziale. Infine c’è una domanda che non possiamo evitare di porci: non è che per caso Taranto si ritrovi ad attendere il nuovo Piano Regolatore Generale niente meno che dal 1978 (ripetiamo, millenovecentosettantotto) per non sottrarre la mammella da cui traggono facile sostentamento i nostri palazzinari poco lungimiranti? d’altra parte i risultati degli scempi urbanistici compiuti sul territorio sono sotto gli occhi di tutti. Sarebbe ora di darci un taglio e fare le persone serie, se vogliamo davvero crescere tutti.
Si ringrazia Massimo Ruggieri per il contributo.
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