Officine Tarantine, resistenza non violenta

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officineTARANTO – Non è una resa. Ma una scelta intelligente, ponderata, decisa da un’assemblea. Non è una sconfitta. Semmai è la vittoria effimera, l’ennesima, di una burocrazia insensata a cui si aggrappano politici e burocratici che sol perché nella vita hanno avuto la fortuna di occupare un posto di “potere”, s’illudono di contare qualcosa e di decidere per un intero territorio.

Le Officine Tarantine lasciano volontariamente gli ex Baraccamenti Cattolica perché quando la vita ti pone davanti a quei bivi da cui dipende gran parte della tua vita futura, scegliere con saggezza è la cosa migliore da fare, qualunque sia la scelta finale e la strada che si è deciso di intraprendere. Specie quando ti pongono davanti ad un aut aut che sa più di becera repressione, che di sinonimo di “legalità”.

Concetto alquanto astratto ma molto caro alle istituzioni locali, le quali si guardano ben lungi dall’applicarlo alle tante zone d’ombra della città. La verità è che la “legalità” tanto sbandierata, altro non è che la copertura utilizzata dalla politica per continuare a fare ciò che ha sempre fatto: favorire gli interessi dei soliti noti, che a loro volta permettono ai politici di “occupare” i posti che contano e che in una società giusta e democratica certamente non potrebbero mai occupare.

Le Officine Tarantine lasciano gli ex Baraccamenti Cattolica, ma non mollano. Anzi, raddoppiano. O, meglio ancora, raddoppieranno in un prossimo futuro. Perché probabilmente in molti, troppi, non hanno ben capito il progetto che c’è dietro. L’idea sulla quale tutto si regge. Creare un luogo dove possano sorgere appunto delle “officine”: di lavoro, non certo politiche o di svago o di perdigiorno. Luoghi dove, chiunque ne abbia veramente voglia, possa mettere in pratica le proprie attitudini e capacità in un determinato campo. Che sia saper aggiustare una bicicletta, piallare il legno, effettuare lavori di carpenteria o giardinaggio, saper fare il pane, e via dicendo, non ha importanza prioritaria: ciò che conta è poterlo e volerlo fare. Il tutto, ovviamente, ad usufrutto dell’intera cittadinanza. Anche e soprattutto di chi ha voglia di imparare, affiancandosi ai ragazzi delle Officine. Poter lavorare mettendo a frutto le proprie capacità, o ciò che si è imparato a fare negli anni: un’attività onesta, pulita, dal basso e senza pretese di colonizzazione.

E’ questa l’idea che sta alla base delle Officine Tarantine. Ma probabilmente in pochi lo hanno capito. O, più semplicemente, tutto questo non è stato volutamente capito.  La politica ha ancora una volta mostrato il suo lato peggiore. Ovvero la sua totale inettitudine ed ignoranza, che la rende incapace di guardare oltre. Di ascoltare di pancia, di sentire con l’anima. Non hanno la ben che minima idea di cosa voglia dire il sentirsi “comunità”, condividere un’idea, un progetto, senza secondi fini, senza intrallazzi, senza magagne.

Stesso dicasi per tutte quelle componenti che si ritrovano sotto il nome di “classe dirigente” o meglio ancora “partenariato sociale”: dai sindacati a Confindustria, nessuna istituzione è in grado di arrivare a comprendere il progetto di un gruppo di ragazzi. Figurarsi se sono capaci di soddisfare le loro esigenze. Un velo pietoso invece, va steso ancora una volta nei confronti di chi si ritiene parte attiva e fondamentale della così detta “società civile”. Troppo impegnati nelle loro singole ed inutili battaglie, già da tempo al lavoro per la prossima campagna elettorale o per preparare l’ennesima demagogica iniziativa che sfrutti i problemi atavici di cui soffre questa città per ottenere il solito effimero ritorno d’immagine (ma Andy Wharol non aveva detto che bastavano 15’ di celebrità per ogni uomo nel mondo?).

Patetica, perché soltanto così si può definire, la solidarietà espressa via social network o via sms. Ma nelle Officine così come alla manifestazione di sabato scorso, si sono ben guardati dal partecipare. Pensano di costruire un’altra Taranto, attraverso lo schermo di un computer o di un telefonino di ultima generazione. Per fortuna, prima o poi, scompariranno anche loro. Ciò detto, le Officine sono pronte a ripartire. Certo, l’esperienza di questi quattro mesi è servita per capire ancora di più la realtà in cui si opera. Si sono analizzate le cose positive e gli errori. Perché soltanto chi non fa non sbaglia mai.

Ma ciò che questi ragazzi hanno messo in piedi non ha precedenti per questa città. Su queste colonne lo abbiamo ribadito più volte: le Officine Tarantine sono il futuro. In questi ultimi anni abbiamo ascoltato innumerevoli volte che tante battaglie sono state condotte “per il futuro dei nostri figli”. I figli di questa città, di questa terra, non sono soltanto coloro i quali devono ancora nascere o sono in età puerile o adolescenziale. Sono anche e soprattutto questi ragazzi. In cerca di riscatto, di una vita migliore, di partecipazione e aggregazione. Lasciarli soli, è un abominio. E’ la più stupida delle azioni che una società possa fare. Togliere loro la speranza, la voglia di fare, di crederci, è un atto ignobile. La speranza di Taranto è che questi ragazzi continuino e non si lascino sopraffare dalla rassegnazione. Perché la morte di questa città arriverà esattamente nell’istante in cui l’ultimo di loro smetterà di sognare e si chiuderà la porta alle spalle. Altro che fumi e veleni e malattia e morte. Nelle Officine c’è vita da vendere. La speranza è che la città o quel poco che resta della politica, lo capisca prima che sia troppo tardi.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.02.2014)

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