Le organizzazioni sindacali ritengono infatti “inaccettabile ed ingiustificabile che un’attività di back office, ben retribuita e che ha portato guadagni non indifferenti alla sede di Taranto, venga trasferita, per lo meno per quelle che sono le nostre informazioni, da un giorno all’altro in Albania”. E’ un’operazione “inaccettabile sotto tutti i punti di vista: il sindacato prende una posizione fortissima di contrasto e di condanna di questa scelta aziendale e chiede un ripensamento di questa scelta”. Nella nota si ricorda che “Teleperformance non può, dopo un accordo firmato a gennaio 2013 che serviva a rilanciare l’azienda, pensare di portare, dall’altra parte dell’Adriatico il lavoro ‘buono’ (e non lo diciamo assolutamente con spirito razzista), utilizzando i lavoratori di Taranto su attività meno remunerative e non pensando che, di qui ad un anno terminerà l’accordo per cui si riproporranno problemi di costo del lavoro ed affini”.
I sindacati di categoria denunceranno “quest’iniziativa non solo agli organi politici ed istituzionali, ma anche a quelli della giustizia ordinaria” visto che “proprio da Taranto partì una forte campagna contro la delocalizzazione che ha portato alla stesura, nel decreto Sviluppo del 2012 successivamente convertito in legge, di un testo in cui si limita tale possibilità solo dopo aver chiesto autorizzazione al ministero del Lavoro ed aver ricevuto dall’utente l’autorizzazione per il trattamento dei suoi dati all’estero”.
Alle segreterie territoriali, si aggiungono quelle nazionali, che ricordano come “circa un anno fa il sindacato confederale ha, con responsabilità e coraggio, fatto un accordo su Teleperformance che, a fronte di grandi sacrifici, ha consentito il riassorbimento degli esuberi, l’uscita dagli ammortizzatori sociali ed il verificarsi delle condizioni che consentono all’azienda di rilanciarsi. Oggi (ieri per chi legge) apprendiamo che Teleperformance ha deciso di spostare nella sua sede albanese la lavorazione della commessa “Eni Back office”, una lavorazione pregiata e remunerativa. E’ chiaro che questa scelta ci vedrà fortemente contrari. Con la sottoscrizione dell’accordo del gennaio 2013 l’azienda ha sottoscritto, con il sindacato ed i lavoratori, un patto che va ben al di là del contenuto dell’accordo stesso. Spostare oggi questa commessa all’estero rappresenterebbe per il sindacato un atto ostile che non potrebbe non avere ripercussioni immediate sui rapporti sindacali in azienda. A questo punto è urgente che l’azienda convochi in tempi rapidi un incontro sindacale per fare il punto sulla situazione complessiva dell’azienda e delle commesse”.
Grande amarezza intanto, si registra tra i lavoratori. Che dopo aver appreso la notizia hanno storto non poco il naso. Del resto gli stessi negli anni sono stati chiamati a non pochi sacrifici. Hanno acconsentito alla cassa integrazione, a lavorare di più attraverso una maggiore flessibilità, hanno accettato l’orario multi periodale (contrattazione collettiva che può apportare delle variazioni all’orario settimanale di lavoro (40 ore) rapportandolo ad una durata media in relazione ad un periodo predeterminato non superiore all’anno, fissando una durata massima dell’orario di lavoro purché non superiore alle 48 ore settimanali in relazione ad un periodo non superiore a 4 mesi, che può essere innalzato fino a 6 mesi o fino a 12 mesi), hanno subìto una riduzione della busta paga (livello e scatto di anzianità), una riduzione dell’accantonamento TFR e della tredicesima: “Non crediamo che l’azienda possa fare una cosa simile – commentano alcuni di loro -. Speriamo ci ripensino: siamo persone, non robot. Abbiamo il diritto a lavorare tranquilli, e per chi vuole a costruirci una famiglia e fare dei figli e regalar loro tutto ciò di cui hanno bisogno”. Difficile dar loro torto.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.02.2014)
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