Ma la verità, come avemmo modo di riportare, era ben altra. Perché i tubifici sono stati fermati a causa dello stop del treno lamiere. Il quale attendeva di ricevere una colata di qualità dall’acciaieria (l’ultima fu infatti rimandata indietro pare a causa della presenza di alcune cricche minuscole (difetti) sui tubi dovuta all’acciaieria) per soddisfare in particolare una commessa della Snam, che ha sospeso l’ordine effettuato in quanto non soddisfatta appunto della qualità dell’acciaio prodotta dall’Ilva (si parla di una commessa quinquennale che rischia tuttora di saltare). Producendo acciaio di scarsa qualità, si va a far benedire la teoria di una fabbrica a “flusso teso” come la sogna il commissario Bondi: ovvero produrre acciaio di qualità soltanto per soddisfare le commesse (eliminando del tutto lo stoccaggio di tonnellate di materiale come avveniva nell’era del gruppo Riva).
Ed è forse proprio qui che trova spiegazione l’aver accettato una commessa da 9mila tubi da sottoporre anche a rivestimento. Il lavoro per rispettare tale impegno prenderà il via nelle prossime settimane e durerà sino a giugno-luglio. “Ieri l’Ilva una commessa di piccola quantità l’avrebbe anche lasciata andare perché preferiva puntare su commesse più ingenti e pluriennali – ha dichiarato al quotidiano di Confindustria, il Sole24Ore che ha riportato la notizia, Vincenzo Castronuovo della Fim Cisl di Taranto -. Oggi l’azienda accetta tutto ciò che il mercato offre”. Il che non è proprio il massimo della vita.
Intanto la prossima settimana, esattamente giovedì 20, azienda, sindacati ed RSU del siderurgico tarantino, s’incontreranno nuovamente per trovare un’intesa sui numeri dei lavoratori da collocare in solidarietà (l’ultimo incontro del 2 febbraio scorso si concluse con un mancato accordo, con la Fiom contraria, ed USB, Fim e Uilm più vicine all’intesa con l’azienda). Il numero individuato al termine degli incontri delle scorse settimane fu di 3579 lavoratori, così divisi: 400 nell’area ghisa, 642 nelle acciaierie 1 e 2, 680 nella laminazione a caldo che comprende i treni nastri 1 e 2, la finitura nastri e il treno lamiere, 428 nella laminazione a freddo, 476 nei tubifici 1 e 2 e al tubificio Erw, 428 nelle manutenzioni centrali, 514, infine, quelli distribuiti tra piazzali, servizi e logistica.
Ma sull’intesa ancora tutta da siglare, pesa come un macigno il no che l’azienda ha pronunciato in merito alla proposta di accollarsi il 10% che la Legge di Stabilità ha detratto dall’integrazione salariale da parte dello Stato sui contratti di solidarietà. I quali prevedono il taglio medio del salario del 20%, con una riduzione media dell’orario di lavoro prossima al 35%. Ai lavoratori in Cds infatti, è sempre stata riconosciuta una retribuzione pari al 60% dello stipendio.
Grazie all’integrazione statale, fino al 2013 pari al 20%, si riusciva a salvare di fatto l’80% dello stipendio; ora, per effetto del provvedimento governativo, si raggiungerà il 70%. La dirigenza Ilva ha dichiarato di non avere le risorse finanziarie per coprire il 10% mancante. La Fiom preme affinché sia però proprio l’azienda ad accollarsi l’onere. Mentre la Fim ha proposto che a farsene carico sia la Regione Puglia (eventualità che non sta per nulla in piedi). La prossima settimana sarà dunque quella decisiva.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.02.2014)
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