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Decreto Ilva, la Camera approva. La palla passa al Senato

TARANTO – L’Aula della Camera ha approvato nella serata di ieri il disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, recante “disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate”, ovvero la Terra dei Fuochi e l’Ilva di Taranto.

I voti favorevoli sono stati 268, quelli contrari 2 e gli astenuti 15 (SEL). Il provvedimento passa ora al Senato, che avrà però tempo soltanto sino al prossimo 9 febbraio per approvare il testo. Il che vuol dire che quasi certamente non ci sarà il tempo per la presentazione e l’approvazione di eventuali nuovi emendamenti (visto che la commissione Ambiente del Senato ha fissato per lunedì la scadenza per la presentazione degli stessi), con i senatori che saranno costretti ad approvare il testo licenziato ieri dalla Camera senza colpo ferire. L’Aula del Senato voterà il decreto tra mercoledì 5 febbraio e giovedì 6 febbraio, secondo quanto deciso dalla conferenza dei capigruppo del Senato mercoledì.

L’accelerata per l’approvazione del disegno di legge, è avvenuta dopo che il Pd ha chiesto l’inversione dell’ordine del giorno con l’intento di passare dall’esame della legge elettorale al dl in scadenza il 9 febbraio. Dopo il voto favorevole dell’Aula all’inversione dell’ordine del giorno, è iniziato a passo spedito l’esame del dl.

La cui approvazione ha confermato in toto l’impianto del testo approvato dalla Commissione Ambiente della Camera lo scorso 13 gennaio. Ok dunque all’aumento di capitale che Bondi sarà autorizzato ad effettuare “a pagamento nella misura necessaria ai fini del risanamento ambientale”, attraverso la possibilità di offrire le azioni “in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute”, e con “le azioni di nuova emissione che potranno essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in denaro”.

E’, infatti, previsto che il commissario Enrico Bondi avrà il potere di aumentare il capitale sociale dell’Ilva Spa chiedendo alla proprietà (il gruppo Riva) di partecipare. In caso di rifiuto, il commissario potrebbe limitare i diritti di opzione e di prelazione, ricorrere a investitori terzi per l’aumento del capitale sociale ma anche chiedere all’autorità giudiziaria lo svincolo delle somme sequestrate alla proprietà anche per reati diversi da quelli ambientali (quelli derivanti dal reato di frode fiscale contestato al gruppo dalla Procura di Milano che ha già provveduto al sequestro di 1,2 miliardi di euro ed ha scovato nel paradiso fiscale di Jersey altri 700 milioni di euro). Soldi, questi,da destinare nelle intenzioni del governo alla bonifica dello stabilimento di Taranto. Per non parlare delle risorse (almeno un altro miliardo di euro) che servirebbero per una oramai non più rinviabile manutenzione degli impianti dell’area a caldo.

In caso, inoltre, “di proscioglimento” da tali reati, le somme “per la parte in cui sono impiegate per l’attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale e delle altre misure previste nel piano delle misure e salvo conguaglio per la parte eccedente, non sono comunque ripetibili”. Eppure, giorni addietro sembrava che a Roma si fossero convinti dell’impossibilità di percorrere tale strada (appare pressoché certo un ricorso del gruppo Riva). Ciò detto, come abbiamo avuto modo di riportare più volte su queste colonne, il testo del decreto risponde ad un’idea, l’ennesima, del tutto irrealizzabile.

A cominciare proprio dalle risorse sequestrate che non potranno essere utilizzabili sino alla conclusione del processo sull’inchiesta milanese, peraltro nemmeno iniziato. Stesso discorso per l’ipotetico aumento di capitale, che non è chiaro con quali risorse finanziarie dovrebbe essere effettuato, visto che l’Ilva Spa non è in grado di farvi fronte e sul quale il gruppo Riva ha mai preso posizione sino ad oggi. Iniezione di risorse fresche che, tra l’altro, è da sempre l’unica strada percorribile per finanziarie i lavori previsti dall’AIA rimodulati nella tempistica (ed anche nella loro attuazione) dal piano ambientale (che non è chiaro se sarà effettivamente approvato entro il prossimo 28 aprile come stabilito dal decreto). Inoltre, finché non saranno trovate le risorse per il piano ambientale, quello industriale resterà nel cassetto. Con le banche che non si muoveranno di un passo, visto che toccherà a loro finanziarlo.

Confermato lo screening sanitario della popolazione. Il decreto stabilisce che verranno utilizzati 25 milioni dal Fondo sanitario nazionale nel 2014 e altri 25 milioni nel 2015 per svolgere esami per il controllo dello stato di salute della popolazione dei Comuni della Terra dei fuochi e dei Comuni di Taranto e di Statte. Gli screening dovranno riguardare anche la prevenzione. Anche in questo caso, come abbiamo avuto modo di riportare nei giorni scorsi, non capiamo il perché, soprattutto sull’area SIN di Taranto e Statte, debbano ancora essere effettuati studi (oltre alla prosecuzione del progetto SENTIERI), dopo che negli ultimi 30 anni ne siano stati svolti non pochi, con risultati pressoché identici sul grave stato di salute in cui versano da decenni operai e cittadini a causa delle emissioni della grande industria situata a due passi dalla città.

Confermato anche l’emendamento che prevede che sia l’Ilva a pagare i costi delle analisi e dei campionamenti che saranno effettuati all’interno del siderurgico. Unica “novità” è che “tutti gli interventi e le operazioni previste devono essere documentate e facilmente rintracciabili nel sito istituzionale del ministero dell’Ambiente”: ed era anche ora visto che ogni volta per cercare un documento bisognava iniziare una caccia al tesoro al termine della quale si restava il più delle volte con un pugno di mosche in mano. Buon weekend.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 01.02.2014)

GLI OPERAI DENUNCIANO: L’ILVA HA TRASFERITO LO SCARICO DI GHISA BOLLENTE IN ALTRA ZONA. RLS SEMPRE ASSENTI O COMPLICI

“Il 15 e il 16 gennaio avevamo denunciato e chiesto un immediato intervento nei confronti dell’Ilva per uno scarico di ghisa bollente granulata nella zona del reparto Ome Mua. Questo aveva poi ottenuto l’accertamento dell’Arpa e dello Spesal, e il risultato che l’azienda lo stesso giorno 16 aveva dovuto rimuovere in fretta e furia la ghisa. Pensavamo, quindi, che la situazione di rischio per gli operai fosse stata eliminata definitivamente. Invece due giorni fa, altre telefonate di alcuni operai dalla fabbrica, che ci hanno detto che dal 16 gennaio la ghisa spostata dalla zona dell’Ome-MUA veniva scaricata nella zona del reparto ex BRA2 – deposito bramme – vicino la mensa nuova, e che lo scarico viene fatto dentro dei capannoni sprovvisti di tetto. Anche in questo caso gli operai hanno denunciato un odore nauseabondo e l’emissione di fumo dalla ghisa. Per questo lo Slai cobas ha fatto una nuova forte denuncia agli organi ispettivi e alla Procura pretendendo che l’accertamento non finisca fino a quando l’Ilva non rimuova definitivamente e in sicurezza la ghisa. Ma ancora una volta viene fuori il silenzio o peggio la complicità degli RLS. Gli operai hanno riferito che avevano denunciato la cosa all’RLS della Uilm dell’area – che fino ad allora si era ben guardato di dire e fare qualcosa – ma che frutto di questa segnalazione era stato solo che gli operai potevano andare a mangiare in una mensa più lontana dalla zona dell’ex BRA2. A che servono questi RLS se fanno solo da portavoce dei capi aziendali! Ma ancora una volta ci chiediamo un’altra cosa. Perché operai dell’Ilva non iscritti allo Slai cobas si rivolgono sempre a noi, anche ora che ci sarebbero 12 delegati dell’Usb? A che sono servite le elezioni e i decantati – da parte dell’Usb – risultati elettorali se poi l’andazzo in Ilva non cambia mai? Le “medaglie personali” possono riempire il petto di qualcuno, ma in fabbrica la situazione resta come prima e peggio a tutti i livelli (salute, sicurezza, contratti di solidarietà, atteggiamento dei capi). Occorre un sindacato di classe col protagonismo degli operai più coscienti che si organizzano in cobas in ogni reparto, non i personalismi! Come lo Slai cobas ha sempre detto, e ribadito durante le elezioni dei delegati: come prima anche ora non abbiamo bisogno di essere nelle RSU per fare le denunce, le battaglie che si devono fare e ottenere anche dei risultati. Dopo il coraggioso esempio del OME MUA (nonostante le minacce dei capi), gli operai del BRA2 hanno seguito le indicazioni dello Slai cobas: gli operai devono denunciare direttamente e in ogni reparto i problemi sulla sicurezza. E’ il clima in fabbrica che deve cambiare e bisogna avere coraggio”.

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