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Ilva, l’accordo non c’è – Esuberi definitivi a quota 3579

TARANTO – Il problema di fondo, come sosteniamo oramai da anni, è che non c’è un piano B. Una sorta di via di fuga, non certo di scappatoia, per attutire lo tsunami sociale che si abbatterà su questa città (ma non solo) una volta che anche le soluzioni più fantasiose per impedire la chiusura dell’Ilva di Taranto si scioglieranno come neve al sole. Ecco perché i numeri sono sì importanti, ma da soli non potranno mai disegnare uno scenario reale di ciò che è oggi il più grande siderurgico d’Europa.

Dove per il 2014, stando a quanto trapelato ieri dall’incontro tra azienda, sindacati metalmeccanici ed RSU, saranno 3579 i lavoratori da sottoporre ai contratti di solidarietà. Entrando nello specifico, 400 nell’area ghisa, 642 nelle acciaierie 1 e 2, 680 nella laminazione a caldo che comprende i treni nastri 1 e 2, la finitura nastri e il treno lamiere, 428 nella laminazione a freddo, 476 nei tubifici 1 e 2 e al tubificio Erw, 428 nelle manutenzioni centrali, 514, infine, quelli distribuiti tra piazzali, servizi e logistica. Ciò detto, quello che più preoccupa, è che le dinamiche interne alla fabbrica non sono poi di molto cambiate rispetto al terremoto del luglio 2012.

In primis non è cambiato l’atteggiamento dell’azienda, che invece di convocare le RSU di ogni singola area per discutere nel merito, si è presentata agli incontri già con i numeri degli esuberi nero su bianco, bypassando dunque ogni pratica concertativa. Inoltre, non pare essere affatto cambiato l’approccio ai problemi della fabbrica e dei lavoratori da parte di Fim Cisl e Uilm Uil, che continuano a sposare la linea aziendale aprioristicamente: non è un caso del resto se sono le due organizzazioni sindacali ad aver avallato il piano degli esuberi dicendosi pronte a firmare (visto che le loro RSU avevano già provveduto a firmare i verbali degli incontri precedenti sulle singole aree). Così come stupisce l’atteggiamento dell’USB, che ha sposato una linea del tutto incomprensibile: partecipando ai tavoli quasi da uditore, per vedere un po’ che aria tira. La Fiom Cgil invece, che pare stia imparando dai tanti errori del passato, ha sostenuto l’unica linea possibile: rifiutarsi di firmare qualsivoglia accordo previa visione del piano industriale. Che ovviamente ancora non c’è e la cui presentazione è slittata a data da destinarsi.

Non solo: perché l’azienda ha anche risposto picche alla proposta della Fiom di accollarsi il 10% che la Legge di Stabilità ha detratto dall’integrazione salariale da parte dello Stato sui contratti di solidarietà. I quali prevedono il taglio medio del salario del 20%, con una riduzione media dell’orario di lavoro prossima al 35%. Ai lavoratori in Cds infatti, è sempre stata riconosciuta una retribuzione pari al 60% dello stipendio. Grazie all’integrazione statale, fino al 2013 pari al 20%, si riusciva a salvare di fatto l’80% dello stipendio; ora, per effetto del provvedimento governativo, si raggiungerà il 70%. Ma la dirigenza Ilva ha dichiarato di non avere le risorse finanziarie per coprire il 10% mancante. Del resto, già nei giorni scorsi l’azienda aveva comunicati alle RSU di Genova di non essere in grado di rispettare gli accordi stabiliti dall’accordo di programma del 2005. Ed allora che si fa? Si va a bussare alla porta della Regione Puglia (come aveva già proposto la scorsa settimana la Fim Cisl) nella speranza (molto remota) che il governo regionale possa coprire il 10% in questione.

Sia come sia, i problemi non finiscono di certo qui. Come riportato già da tempo, il siderurgico abbisogna di immediati lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria in diversi reparti, specialmente dell’area a caldo. Anche in questo caso il piatto dell’azienda piange: non è un caso se le risorse finanziarie per ovviare a questi problemi sono state veicolate dal commissario Bondi ad un eventuale quanto improbabile aumento di capitale. Al quale sono veicolati anche i lavori previsti dall’AIA, per i quali si attende il piano ambientale che il ministero dell’Ambiente varerà entro febbraio per decreto e che dovrebbe ammontare ad oltre 2 miliardi di euro. Sul quale piano pesano svariate ombre tra cui l’eventuale fermata definitiva di AFO 5, l’eventuale ripartenza di AFO 1 e la futuristica copertura dei parchi minerali primari.

Per non parlare del fatto che bisogna fare i conti con la crisi del mercato: nei prossimi giorni infatti, e per due settimane, saranno fermati i tubifici 1 e 2. Ma a fermarsi sarà anche il treno lamiere: quest’ultimo però, per la scarsa qualità dell’acciaio che oramai l’Ilva produce. E non certo da oggi. Cosa che tutti sanno ma di cui però non parla mai nessuno. Oltre un anno fa, definimmo il siderurgico un gigante d’acciaio con i piedi di argilla che rischia di implodere ed accartocciarsi su se stesso. Ed è proprio quello che sta accadendo giorno dopo giorno. Auguri.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 31.01.2014)

ILVA: UN FONDO PER I LAVORI URGENTI E LE SOLUZIONI DI PERICOLO – MA I SOLDI PER FARLO CI SONO?

L’Ilva di Taranto istituirà un fondo speciale che sarà gestito dal direttore dello stabilimento il quale potrà usarlo per tutti i lavori urgenti finalizzati ad evitare situazioni di pericolo. Lo ha annunciato ieri l’azienda ai sindacati metalmeccanici nell’incontro convocato per discutere del rinnovo, per il 2014, dei contratti di solidarietà. Non è però stato reso noto l’ammontare del fondo. Comunicata ai sindacati anche una procedura per dare risposta, entro le 48 ore dalla ricezione, alle denunce sindacali in materia di sicurezza e igiene degli ambienti di lavoro. Previsto che il servizio aziendale SIL verifichi nelle 24 ore dalla ricezione la fondatezza della denuncia sindacale mentre nelle successive 24 ore toccherà al responsabile di area e al caporeparto individuare gli interventi necessari a rimuover i fattori di rischio contestati.

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