ROMA – “Le bonifiche vanno a rilento, ma non il giro d’affari del risanamento ambientale che si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Dal 2001 al 2012 sono stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti, tra soldi pubblici (1,9 miliardi di euro, pari al 52,5% del totale) e progetti approvati di iniziativa privata (1,7 miliardi di euro, pari al 47,5% del totale), con risultati concreti davvero inesistenti”. Il dossier ‘Le bonifiche in Italia: chimera o realta’?’ e’ stato presentato oggi, a Roma, nel corso di un convegno che ha visto, tra gli altri, la partecipazione di Andrea Orlando ministro dell’Ambiente, Vittorio Cogliati Dezza presidente di Legambiente ed Ermete Realacci presidente commissione Ambiente della Camera. “In Italia le superfici, terrestri e marine, individuate negli ultimi 15 anni come siti contaminati sono davvero rilevanti. I risultati ottenuti fino ad oggi – spiega Legambiente – per il raggiungimento della bonifica di queste aree invece, non sono purtroppo altrettanto rilevanti”. Secondo il Programma nazionale di bonifica curato dal ministero dell’Ambiente, “il totale delle aree perimetrate come siti di interesse nazionale (Sin) è arrivato negli anni a circa 180mila ettari di superficie, scesi oggi a 100mila ettari, solo grazie alla derubricazione dello scorso anno di 18 siti da nazionali a regionali (i Sin sono quindi passati da 57 a 39)”.
Sebbene “i primi 15 Sin da bonificare furono identificati nel 1998, nonostante le risorse impiegate e le semplificazioni adottate, la situazione attuale è di sostanziale stallo – dichiara il vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani – caratterizzazioni e analisi effettuate in modo a volte esagerato e inefficace, progetti di risanamento che tardano ad arrivare e bonifiche completate praticamente assenti, a parte qualche piccolissima eccezione”. “Il ministero dell’Ambiente arranca, dietro alle migliaia di conferenze dei servizi e documenti, intanto i responsabili dell’inquinamento, pubblici e privati, ne approfittano per spalmare su più anni gli investimenti sulle bonifiche. Nel frattempo – prosegue Stefano Ciafani- sono sempre più numerose le indagini sulle false bonifiche e sui traffici illegali dei rifiuti derivanti dalle attività di risanamento. Occorre un vero cambio di passo per fare quello che è stato già realizzato con successo in altri paesi industrializzati”. Infatti, prosegue Legambiente nel dossier ‘Le bonifiche in Italia: chimera o realta’?’, “solo in 11 Sin è stato presentato il 100% dei piani di caratterizzazione previsti (è il primo step del processo di risanamento che definisce il tipo e la diffusione dell’inquinamento presente e che porta alla successiva progettazione degli interventi). Anche sui progetti di bonifica presentati e approvati emerge un forte ritardo: solo in 3 Sin e’ stato approvato il 100% dei progetti di bonifica previsti. In totale, sono solo 254 i progetti di bonifica di suoli o falde con decreto di approvazione, su migliaia di elaborati presentati”. In questo scenario di grandi ritardi nelle attività di bonifica, “un ruolo non marginale lo hanno avuto anche una parte dei soggetti responsabili dell’inquinamento. Sono numerose le storie di ‘melina’ – per usare una metafora calcistica – operata dalle aziende sulle operazioni di bonifica. Un esempio – sottolinea Legambiente – e’ quello dell’Ilva di Taranto o della Stoppani di Cogoleto (Ge), un’azienda chimica che per decenni ha inquinato di cromo esavalente il torrente Lerone e un tratto di costa del Mar Ligure. Lo stesso vizio viene praticato anche da aziende pubbliche o a prevalente capitale pubblico, come nel caso della Syndial nella bonifica di Crotone”.
“La forte concentrazione di inquinanti nell’ambiente e i ritardi negli interventi di bonifica causano anche evidenti danni alla salute”. Il progetto Sentieri, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, conclusosi nel 2011 e in corso di aggiornamento, ha realizzato il profilo sanitario delle popolazioni residenti in 44 Sin – Siti di interesse nazionale: “si va dall’eccesso di tumori della pleura nei Sin con l’amianto (Balangero, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit e Biancavilla) o dove l’amianto e’ uno degli inquinanti presenti (Pitelli, Massa Carrara, Priolo e Litorale Vesuviano), agli incrementi di mortalita’ per tumore o per malattie legate all’apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici (Gela, Porto Torres, Taranto e nel Sulcis in Sardegna)”. Inoltre, riporta Legambiente citando il rapporto Sentieri, “sono stati evidenziate malformazioni congenite (Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres) e patologie del sistema urinario per l’esposizione a metalli pesanti e composti alogenati (Piombino, Massa Cararra, Orbetello, nel basso bacino del fiume Chienti e nel Sulcis)”. Emergono “anche gli eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli pesanti e solventi organo alogenati (Trento nord, Grado e Marano e nel basso bacino del fiume Chienti), ma anche dei linfomi non Hodgkin da contaminazione da policlorobifenili (Brescia)”. (Dire)
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