L’Ilva non è in “crisi”… – L’Ad di Unicredit si sbilancia
TARANTO – La Camera ha ripreso ieri la discussione sul decreto legge 136 che riguarda l’Ilva di Taranto e la Terra dei Fuochi in Campania. E’ iniziata la votazione sui diversi articoli del provvedimento ma la conclusione del voto si avrà soltanto nella seduta odierna. Dopodiché il provvedimento passerà all’esame del Senato per la definitiva conversione in legge che dovrà avvenire entro il 10 febbraio poiché il decreto è stato approvato il 3 dicembre e pubblicato il 10 dicembre sulla “Gazzetta Ufficiale”.
Intanto, Unicredit non vede l’Ilva “come un’azienda in restructuring o da salvare. Ha una solidità patrimoniale importante: non la classificherei tra le aziende in crisi”. Lo ha dichiarato ieri l’ad del gruppo bancario Federico Ghizzoni, in un briefing seguito al Cda di ieri a Milano. “Abbiamo concordato con il commissario Enrico Bondi – continua Ghizzoni – che riceveremo un piano e lo analizzeremo. Ci è stato richiesto in questo momento un contributo in termini di consulenza sul piano, quindi quanto pensiamo sia necessario finanziare e poi il commissario trarrà le sue conclusioni. Ad oggi non è stato chiesto alle banche un intervento finanziario, ma consultivo sul piano stesso per le esigenze finanziarie”.
“Daremo i nostri input – prosegue il banchiere – non appena lo vedremo: quello che interessa all’Ilva è come la vedono le banche dal punto di vista della finanziabilità. Non sono solo le banche che possono essere interessate al finanziamento, ci sono anche possibilità con la Banca Europea degli Investimenti”. “Dal punto di vista della corporate governance – conclude Ghizzoni – la situazione non è chiarissima. C’é un commissario e un azionista che di fatto è bloccato. Se guardiamo dal punto di vista del bilancio, patrimoniale e della liquidità, non la classificherei tra le aziende in crisi. Certo, andrà trovata una soluzione definitiva anche sul primo aspetto (quello della governance)”.
Ghizzoni ha partecipato sia all’incontro del 16 gennaio a Milano nella sede dell’advisor dell’Ilva, la Leonardo & Co, sia a quello dell’8 a Roma presso il MiSE. Appare ben strano dunque, che l’ad di Unicredit mostri tanta sicurezza sull’attuale situazione dell’Ilva Spa. Visto che la banca in questione, secondo la Centrale rischi di Bankitalia aggiornata ad ottobre scorso, è esposta per 200 milioni di euro di crediti nei confronti di Ilva Spa. La quale beneficia dagli istituti di un accordato di 1,855 miliardi, dei quali 1,520 utilizzati: di questi ultimi 534 milioni sono autoliquidanti (factoring), 769 milioni a scadenza, 7,3 milioni a revoca, 197 di garanzie commerciali e 14 di garanzie finanziarie (con uno sconfino di 2 milioni). Togliendo le garanzie, degli 1,3 miliardi residui, Intesa dovrebbe essere esposta per 850 milioni, Banco Popolare per 240, oltre ad Unicredit appunto.
Non solo. Perché è di questi giorni la notizia che il board triestino Generali, ha appreso di avere una posizione da 180 milioni, tramite un fondo di investimento, nell’Ilva di Taranto. Kpmg (network di servizi professionali alle imprese, specializzato nella revisione e organizzazione contabile, nella consulenza manageriale e nei servizi fiscali, legali e amministrativi) ha stimato in 111 milioni la “potenziale area di rischio” nell’investimento su Ilva, rischio esponenziale date le condizioni di incertezza estrema in cui versa il colosso dell’acciaio.
Certo, potrebbe essere anche vero che Bondi abbia chiesto consigli e idee: ma dubitiamo che per qualche consiglio si scomodino il direttore generale del gruppo Intesa Sanpaolo e amministratore delegato di Banca Imi, Gaetano Micciché, Pier Francesco Saviotti, ad di Banco Popolare, Andrea Giovannelli (capo dei ristrutturati), Teresio Testa (responsabile large corporate), Carlo Bianchi (chief lending officer) e Ghizzoni. Che tra l’altro rappresentano le banche che nel mese di settembre riattivarono i fidi bancari per far ripartire le attività delle imprese della Riva Acciaio.
Tra l’altro, Matteo Manfredi, ad di Leonardo & Co, che nel vertice di Roma era affiancato dall’avvocato Giuseppe Lombardi (studio Lombardi Molinari Segni), il 16 gennaio ha presentato alle banche la bozza del piano industriale dell’Ilva 2014-2020 “griffato” McKinsey & Company. Che potrà essere finanziato soltanto dalle banche. Visto che il piano ambientale dovrà attingere ad altre risorse. E Ghizzoni ha un bel dire che Ilva non sia un’azienda da salvare: se così fosse, perché mai allora commissariarla con un apposito decreto lo scorso giugno?Perché varare a dicembre un decreto appositamente per consentire l’aumento di capitale a Bondi, richiamando in causa addirittura i Riva? Perché inserire nel decreto la possibilità di attingere alle risorse sequestrate dalla Procura di Milano (1,2 miliardi più altri 700 al momento schermati dai trust situati nel paradiso fiscale dell’isola britannica di Jersey) nell’ambito dell’inchiesta per frode fiscale?
Perché domani si voterà anche un emendamento al comma 1 all’art. 7 (11 bis) in cui si legge testualmente che “al fine di reperire le risorse necessarie per l’attuazione dell’AIA e per l’adozione delle misure previste nel piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e l’adozione del piano industriale in tempi compatibili con le esigenze dell’impresa soggetta a commissariamento, e comunque non oltre l’anno 2014, le somme necessarie possono essere richieste dall’amministratore straordinario al Fondo strategico italiano Spa istituito presso la Cassa depositi e prestiti. Come corrispettivo di tali somme sono conferite al Fondo citato quote azionarie della società proprietaria dello stabilimento. Le medesime quote azionarie possono essere acquistate o riacquistate dalla società proprietaria dello stabilimento una volta adempiute tutte le prescrizioni ed effettuati tutti gli investimenti suddetti”? Se non è un’azienda in crisi questa…
Gianmario Leone (TarantoOggi, 22.01.2014)