Ilva, Riva e l’isola di Jersey
TARANTO – Soltanto tra due mesi la magistratura inglese farà conoscere la sua decisione in merito alla richiesta di estradizione in Italia di Fabio Riva, vice presidente della Riva FIRE. Ieri a Londra si è infatti tenuta l’ultima udienza prima del verdetto finale: hanno parlato la difesa di Fabio Riva e il pubblico ministero. Altre udienze si sono tenute il 14 e il 15 gennaio. Il rampollo di famiglia è accusato di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale ed è colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Taranto, Patrizia Todisco, il 26 novembre 2012 nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva, contenente le accuse di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, emissione di sostanze nocive, avvelenamento da diossina di sostanze alimentari, omissione di cautele in materia di sicurezza sul lavoro e corruzione (per le cui imputazioni ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari lo scorso ottobre).
Fabio Riva è in libertà vigilata in quel di Londra dal gennaio 2013: esattamente un anno. Nel 2013 infatti, la vicenda dell’estradizione di Fabio Riva dall’Inghilterra all’Italia si è snodata attraverso una serie di udienze davanti alle autorità giudiziarie inglesi cui i magistrati di Taranto, nelle scorse settimane, hanno inviato una memoria in vista della decisione finale in cui evidenziano i motivi e la gravità dei reati per cui il numero 2 del gruppo industriale siderurgico deve essere estradato in Italia. I legali di Riva però, si oppongono all’estradizione e hanno inviato una memoria, girata anche al DAP, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in cui mettono in luce le gravi condizioni di criticità, a partire dal sovraffollamento, presenti nel carcere di Taranto.
Rimostranza più che “lecita” a fronte del fatto che il ricercato dimora in un attico lussuoso vicino a Oxford street, cuore dello shopping di Londra e dove ogni giorno si ferma una pattuglia della Polizia. Nel chiedere il 26 novembre 2012 l’arresto in carcere di Fabio Riva, il gip Patrizia Todisco affermava tra l’altro che occorreva tenere conto “della spiccata pervicacia, spregiudicatezza e capacità a delinquere” dimostrate “nonostante la consapevolezza della gravissima offensività, per la comunità cittadina ed i lavoratori, delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali, e nonostante il susseguirsi, sin dagli anni immediatamente successivi all’acquisto dello stabilimento siderurgico da parte del gruppo Riva, di varie pronunce giudiziali che ne hanno duramente stigmatizzato la disinvolta, criminosa gestione dei problemi ambientali creati dalle emissioni della stessa industria”. Non proprio un “lord inglese”, dunque.
Il 13 dicembre 2012, Fabio Riva si dimise dalla presidenza della Stahlbeteiligungen, storica cassaforte lussemburghese di famiglia, e dalla Siderlux, holding costituita a fine novembre 2012 a cui faceva capo il 25% di Ilva Spa. In sua sostituzione, il Cda della holding nominò Mauro Pozzi, domiciliato in Spagna a Siviglia. L’incarico come presidente delle due holding a Fabio Riva, fu rinnovato nel giugno del 2012 e sarebbe decaduto soltanto nel 2018. All’interno del futuro processo al gruppo lombardo nella gestione di 18 anni di Ilva, potrebbe avere un ruolo fondamentale: è colui il quale infatti conosce tutti i segreti finanziari della holding di famiglia, la Riva FIRE Spa, della quale é vicepresidente oltre che consigliere, società che ha per anni detenuto il 100% dell’Ilva Spa (oggi, dopo una serie di operazioni finanziarie partite nel luglio 2012, la percentuale è scesa al 61,62%).
Certo, qualcosa non torna. Una pratica come quella di un’estradizione, di norma richiede due mesi: ne sono passati dodici. Come mai tanta “lentezza” da parte delle autorità inglesi? Probabilmente la risposta si trova nell’isola di Jersey, la più grande del canale della Manica, sulla quale si allunga l’ombra della Regina Elisabetta II, visto che il sovrano britannico gode della sovranità sull’isola. Il sistema legale dell’Isola di Jersey è basato sulle norme del diritto normanno unitamente a quello inglese e la giustizia è amministrata dal tribunale di Sua Maestà. Ma il Jersey è soprattutto un paradiso fiscale: l’isola infatti non rientra nell’Unione europea ma nell’area di libero scambio europea ed ha stipulato alcuni accordi internazionali.
I contribuenti persone fisiche sono tassati secondo un’aliquota proporzionale del 27% da applicare su redditi al netto degli sconti fiscali (deduzioni) o, se più favorevole, del 20% sul reddito lordo (vale a dire senza applicazione di sgravi). A Jersey ci sono oltre 200 filiali degli intermediari finanziari più importanti del mondo. Ed è proprio lì che i Riva avevano un tesoro nascosto: un miliardo e novecento milioni di euro transitati prima dal Lussemburgo, quindi schermati in quattro società delle isole Cayman, infine protetti in otto trust dai nomi esotici gestiti da UBS nel Jersey. Il tutto fu scoperto dal nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano a partire da una richiesta di scudo fiscale per un miliardo e duecento milioni di euro richiesto da Emilio Riva nel 2009. Nel Jersey lo scorso agosto sono stati trovati altri 700 milioni che la magistratura locale potrebbe mettere nella disponibilità degli inquirenti italiani, per poi aggiungerli al miliardo e duecento milioni già sotto sequestro. E perdere un “cliente” del genere, nel mondo degli affari e della finanza, può essere tutt’altro che conveniente.
G. Leone (TarantoOggi, 17.01.2014)