L’Ilva resta in attesa – Ieri l’incontro Bondi-sindacati
TARANTO – Sono tornati ad incontrarsi per la seconda volta dal 4 giugno, quando Enrico Bondi fu nominato dal governo tramite apposito decreto, commissario straordinario dell’Ilva. Decisamente poche per il ruolo che i sindacati metalmeccanici di Taranto e nazionali dovrebbero avere nelle vicende della più grande fabbrica italiana e del più grande siderurgico d’Europa. Tra l’altro, nulla appare cambiato rispetto allo scorso 2 settembre. Anzi, se vogliamo, le cose sono peggiorate: testimonianza evidente di come il futuro della grande fabbrica si tinga sempre più di nero.
Quel giorno di quattro mesi fa infatti, Bondi non presentò il tanto atteso piano industriale, ma ai sindacati fu detto che sarebbe arrivato entro metà novembre. Previsione sin troppo ottimistica, visto che adesso bisognerà attendere l’approvazione del piano ambientale che avverrà per decreto da parte del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando entro il prossimo 28 febbraio (ammesso e non concesso che ciò accada), prima di conoscere quello industriale. Che sarà finanziato interamente dalla banche (quasi interamente da UniCredit, Banca Imi e Banco Popolare, verso le quali Ilva è ancora esposta finanziariamente) con le quali mercoledì è stato svolto un vertice a Roma. E che non verseranno un euro se non saranno trovate le risorse finanziarie per il piano ambientale.
Non solo. Perché quel 2 settembre a Roma, Bondi affermò che la spesa totale per l’attuazione delle prescrizioni AIA non avrebbe superato gli 1,8 miliardi di euro e che addirittura si sarebbe potuto scendere a 1,5 miliardi. Oggi, invece, i costi sono lievitati: 3 miliardi di euro, all’interno dei quali è prevista la spesa per la manutenzione degli impianti. Che in mancanza dei lavori di risanamento previsti dall’AIA, vanno ulteriormente degradandosi, mettendo a rischio oltre che la salute, anche al sicurezza degli operai. Tra quelli più bisognosi di “cure”, ci sono le centrali e i treni nastri.
A tal proposito nell’incontro di ieri Bondi ha evidenziato che nel 2013 i costi della manutenzione hanno avuto un aggravio di 16 euro in più a tonnellata: ovvero quasi 100 milioni di euro. Ecco perché il commissario ha ribadito le intenzioni dell’azienda di sposare la tecnologia del preridotto di ferro al posto dell’agglomerato di minerali e del gas al posto del carbone coke, ribadendo che la sperimentazione è tutt’ora in corso nel reparto acciaieria e che in futuro si estenderà agli altiforni. Le previsioni dell’azienda, almeno stando ai dati di settembre, parlavano di due milioni di tonnellate d’acciaio da produrre attraverso questo nuovo sistema. Queste tecnologie, a detta di Bondi e Ronchi, garantirebbero una riduzione dell’impatto ambientale che le attività del siderurgico hanno tutt’ora sul territorio e sulla salute di operai e cittadini: potrebbero essere dunque questi i progetti finanziabili con le risorse della Banca Europea degli Investimenti (BEI).
Il problema, che sottolineammo già mesi addietro, è sempre lo stesso: queste tecnologie presuppongono un approvvigionamento costante e stabile di grandi quantità di gas, cosa che oggi a Taranto non c’é perché, ha ricordato Bondi nell’incontro di ieri riportando in vita un fantasma del passato, è venuta meno anche l’ipotesi della costruzione di un rigassificatore. L’ipotesi che rilanciammo mesi addietro, piuttosto remota a dir la verità, era la seguente: che il gas necessario all’Ilva arrivasse attraverso il TAP (Trans-Adriatic Pipeline), il tanto discusso progetto per la costruzione di un gasdotto transadriatico che collegherà la Grecia alle coste meridionali dell’Italia (precisamente in località San Foca in provincia di Lecce anche se la questione è ancora in alto mare) passando attraverso l’Albania e il mar Adriatico, permettendo così al gas proveniente dalla regione del mar Caspio di raggiungere direttamente i mercati europei. Cosa c’entra il progetto TAP con il gas per l’Ilva? Potrebbe centrare eccome. In quanto, come riportammo tempo addietro, una volta arrivato in Italia nella provincia di Lecce, l’enorme gasdotto verrebbe allacciato alla rete italiana di trasporto del gas gestita da SNAM ReteGas. La quale, nel 2004, ha presentato il progetto del gasdotto Rete Adriatica, diviso in cinque tratti funzionalmente autonomi, in grado cioè di svolgere una propria funzione indipendentemente dagli altri. Ognuno dei singoli tratti ha ottenuto parere favorevole di compatibilità ambientale, con l’emissione del relativo decreto di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Il primo tratto, collegherà Massafra (TA) e Biccari (FG), si snoda per 195 chilometri lambendo la Basilicata. Per ora, lo ribadiamo, si tratta soltanto di ipotesi.
Intanto ieri Bondi ha confermato che a fine 2013 non c’é stata la ripresa del mercato dell’acciaio che ci si attendeva (secondo quali previsioni non è dato sapere), ma si è detto fiducioso che segnali positivi possano esserci nel corso di quest’anno. Sarà. Per quanto concerne l’AIA, Bondi ha parlato di 495 ordini di cui un centinaio pagati e confermato la fermata per rifacimento a settembre dell’altoforno 5, il più grande d’Europa. Prima, però, nei progetti c’è la rimessa in marcia dell’altoforno 1, fermato agli inizi di dicembre del 2012. Un indizio che confermerebbe quanto da tempo si sussurra in fabbrica: che a fronte di un drastico ridimensionamento dell’attività, AFO 5 potrebbe spegnersi per sempre.
Sia come sia, il punto focale della situazione è sempre lo stesso: i soldi per finanziare il piano ambientale continuano a non esserci. Altro che preridotto di ferro e gas. Le risorse necessarie ai lavori infatti, potranno arrivare soltanto attraverso un aumento di capitale che a tutt’oggi non è dato sapere chi debba attuare. Non è un caso che quasi certamente, nella discussione alla Camera sul decreto 136 che riguarda anche l’Ilva, sarà presentato ed approvato un emendamento attualmente allo studio della commissione Ambiente, che prevede la possibilità per il commissario straordinario di obbligare le società ad aumentare il capitale sociale con conferimenti esclusivamente in denaro (in pratica la famiglia Riva e i soci di minoranza). Qualora le risorse così reperite non dovessero bastare, o non dovessero per nulla arrivare (come infatti accadrà), al commissario straordinario verranno trasferite le somme sequestrate nell’ambito di procedimenti penali a carico dell’impresa o dei suoi soci anche per reati diversi da quelli ambientali o connessi all’attuazione dell’AIA.
Somme che non saranno recuperabili in caso di proscioglimento e che non sostituiranno quelle che lo Stato o altre parti lese dovranno ricevere in caso di condanna. Il giochino è sempre lo stesso: utilizzare i 2 miliardi di euro (confluiti in gran parte nel Fondo Giustizia) sequestrati al gruppo Riva dalla Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta per frode fiscale. Una vera e propria barzelletta. Perché se il decreto sarà convertito in legge con questa dicitura, i legali dei Riva presenteranno il ricorso già annunciato e lo vinceranno a mani basse: secondo quale principio democratico infatti, si sottraggono 2 miliardi di euro e non si restituiscono a fronte di un’assoluzione?
Intanto, parlando di cose serie e reali, Bondi ha detto chiaro e tondo ai sindacati che anche nel 2014 saranno rinnovati i contratti di solidarietà. Che dovrebbero essere rinnovati per una quota pari a 3500-3600 addetti come tetto massimo. Nonostante la critica situazione finanziaria, Bondi ha garantito che gli stipendi di gennaio agli oltre 11mila dipendenti del sito di Taranto non sono a rischio. Sempre a proposito di lavoro, Bondi si sarebbe mostrato disponibile sulla possibilità di coinvolgere nei lavori per il risanamento dell’azienda le imprese del territorio, a condizione però, ha osservato, che rispettino tutte le procedure di sicurezza. Intanto, l’unica cosa certa sono i contratti di solidarietà per i lavoratori. Tutto il resto resta nel campo delle ipotesi. E conduce ad una strada senza uscita. Ma i sindacati si sono detti fiduciosi. Prepariamoci al peggio.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 11-1-2014)