cementirTARANTO – Nuova puntata nella paradossale vicenda in cui è precipitata la situazione della Cementir. Le “RSU Cementir Italia Spa – Stabilimento di Taranto” hanno infatti scritto una lettera indirizzata alla direzione italiana dell’azienda, al direttore del sito tarantino, alla Regione, alla Provincia, al Comune di Taranto e ed alle segreterie provinciali e nazionali di FILLEA Cgil, FILCA Cisl e FENEAL Uil, in cui chiedono lumi sul futuro della Cementir e della loro situazione lavorativa. Le RSU e i lavoratori sono dall’inizio dell’anno in presidio permanente all’esterno dell’azienda, dopo che la direzione aziendale ha comunicato che il forno per la macinazione rimarrà spento dall’1 gennaio fino almeno al 15 marzo 2014. “Come mai – si chiedono le RSU – il destino di 60 lavoratori diretti e di oltre 150 indiretti e delle loro famiglie che a breve rischiano di perdere il posto di lavoro non interessa ai politici ed alle istituzioni pugliesi e tarantine? Forse non siamo ugualmente italiani ed aventi diritti come i nostri colleghi piemontesi?”.

I lavoratori ricordano che l’organico, prima del periodo di crisi, era di 115 unità. Con le mobilità che si sono susseguite, aggiungono, l’organico è stato ridotto a 95 e con lo spegnimento della linea a caldo si riduce ad appena 42. “Perché – si domandano ancora – l’azienda sta ignorando la internalizzazione per la ricollocazione del personale e gli altri strumenti previsti dall’accordo del 19 settembre 2013? Vogliamo la tutela dei posti di lavoro. Noi non accettiamo tutto questo e siamo pronti a difendere i nostri posti di lavoro nell’unica ed ultima speranza che la Regione Puglia ci dia appoggio”. Diversamente, concludono i lavoratori, “con qualunque mezzo, denunceremo l’atteggiamento di abbandono di chi avrebbe dovuto tutelarci. E’ noto alle parti che tutti i lavoratori hanno deciso di scioperare e che sono pronti alla mobilitazione, non escludendo altre iniziative per la salvaguardia del proprio posto di lavoro”.

Appunto: chi avrebbe dovuto tutelare i lavoratori della Cementir? Perché come abbiamo scritto nei giorni scorsi, ancora una volta ci si è mossi con un ritardo abissale. Che senso ha oggi chiedersi il perché la Cementir abbia deciso il congelamento dell’investimento di oltre 150 milioni di euro (con il conseguente stop del finanziamento di 20 milioni di euro al progetto da parte delle Regione) destinato “all’ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto”, quando la decisione fu annunciata dal presidente ed amministratore delegato di Cementir Holding Francesco Caltagirone jr. lo scorso aprile in occasione dell’approvazione del bilancio 2012? Tra l’altro motivando tale scelta a fronte del fatto che un’operazione del genere non fosse più conveniente per il gruppo? Perché i sindacati non si sono mossi già all’epoca? Non sapevano? Hanno fatto finta di non sapere? Non hanno creduto alle parole di Caltagirone Jr? Mistero.

Eppure, lo scorso giugno, durante l’audizione in commissione Ambiente ed Ecologia del Comune di Taranto, il direttore dello stabilimento Paolo Graziani e il direttore di Cementir Italia Mario De Gennaro non solo confermarono il congelamento dell’investimento, ma annunciarono che a partire dal 1 gennaio 2014, qualora la situazione di mercato e dell’Ilva non avesse mostrato inversioni di tendenza importanti, il sito di Taranto sarebbe stato trasformato in centro di macinazione (ipotesi sostenuta anche nel tavolo nazionale dell’11 luglio scorso). Anche allora si è fatto finta di non aver sentito o capito? Come mai il Comune, ieri presente al presidio dei lavoratori con l’assessore con delega alle Politiche del Lavoro Gionatan Scasciamacchia, non ha iniziato ad interessarsi del problema lo scorso giugno? Perché soltanto oggi, ben 7 mesi dopo quell’audizione, chiede alla Cementir e a Caltagirone spiegazioni?

Ed ancora. Come mai non si sono chieste le opportune garanzie all’azienda il 19 settembre scorso a Roma, giorno in cui fu sottoscritto l’accordo per la cassa integrazione straordinaria per “crisi aziendale” a turno e per 12 mesi per i 98 lavoratori del sito tarantino? Ci si è fidati delle “rassicurazioni” dell’azienda? Eppure (come riportato su queste colonne il 10 settembre e il 18 novembre scorsi), sia prima che successivamente quell’incontro, ben due società d’investimento come Equita e Kepler Cheuvreux davano conto del fatto che l’azienda stesse portando avanti in Italia un piano di ristrutturazione “che porterà ad un totale di circa 150 esuberi” e che prevede “la trasformazione dei cementifici di Arquata e di Taranto” ed “il taglio dei costi in Italia, tramite l’arresto delle produzione di clinker nel sito di Arquata Scrivia (0,8 milioni di tonnellate) e nell’impianto di Taranto (1,3 milioni di tonnellate) a partire da gennaio 2014. Cementir bloccherà così il 52% della produzione italiana del componente base del cemento”. Nemmeno di questo sindacati e istituzioni erano a conoscenza?

E quando lo scorso 13 dicembre al termine dell’incontro tra Cementir ed Autorità Portuale, in cui si discusse dell’utilizzo della calata 4 (che sarà utilizzata anche dalle società Terminal Rinfuse e dalla consorziata Italcave), il presidente dell’Authority Sergio Prete tenne a precisare che le decisioni sulla calata quattro “non hanno e non avranno diretta influenza in merito alla permanenza della Cementir a Taranto” e che “se la Cementir ha deciso di ridimensionare la sua presenza a Taranto, lo fa anzitutto per altri motivi e non certo per un problema di utilizzo di banchine”, come mai a nessuno si accese una lampadina?

Ma le assurdità non finiscono di certo qui. Lo scorso 6 dicembre infatti, fu annunciato ai sindacati dai dirigenti della Cementir Italia la cessazione per il sito di Taranto della produzione di cemento a partire dalla fine del mese, con la conseguente trasformazione dal 1 gennaio in centro di macinazione (all’incontro erano presenti le confederazioni sindacali di Taranto insieme ai sindacati degli edili, FILLEA, FILCA e FENEAL sia nazionali che provinciali). Ridimensionamento che avrebbe inoltre comportato una riduzione notevole di fabbisogno di personale: dalle attuali 98 unità si passerà alle future 42 con una riduzione della forza lavoro di ben 56 dipendenti. Come mai la protesta non è iniziata quel giorno?

Ma pur condonando tutte queste occasioni perse, non si comprende il perché il silenzio sia proseguito anche dopo quanto accaduto lo scorso 18 dicembre. Quando Caltagirone jr., nel corso della conference call per la presentazione del piano industriale 2014-2016 approvato il giorno prima dal Cda del gruppo, annunciò quel che si sapeva oramai da mesi: la riorganizzazione degli stabilimenti italiani, che per il gruppo Cementir significherà un risparmio di ben 7 milioni di euro, con la futura chiusura delle relative aree a caldo degli stabilimenti di Taranto e di Arquata.

Sino ad oggi tutto questo è stato volutamente ignorato nella speranza che il vento cambiasse. Ma la verità è che ancora oggi si continua ad ignorare il vero motivo per il quale la Cementir ha deciso di chiudere il sito tarantino. Il ridimensionamento dell’Ilva (oltre alla crisi del mercato italiano). E’ assurdo che oggi i sindacati si “stupiscano” del fatto che la Cementir abbia deciso di acquistare il clinker da altri siti invece che continuarlo a produrlo a Taranto (un chiaro segnale della prossima chiusura definitiva del sito). Visto che dovrebbero ben sapere che nella produzione del cemento, successivamente alla cottura e alla preparazione del clinker, viene aggiunto a quest’ultimo una sostanza di minor valore ma comunque fondamentale: il residuo di fonderia e di acciaieria, la loppa di altoforno. Che arriva direttamente dall’Ilva. Non è un caso del resto se  la cementeria è sorta contemporaneamente all’adiacente Centro Siderurgico ex Italsider entrando in esercizio nel lontano 1964.

Nel progetto di futura copertura del parco loppa dell’Ilva, annunciato dall’azienda lo scorso 26 novembre, si leggeva che “il deposito del si estenderà su una superficie di oltre 26.000 mq per una capacità di accumulo di 230.000 tonnellate”. Considerando che il cementificio ha sempre consumato tra le 800.000 e il milione di tonnellate di loppa all’anno e che Cementir si era dichiarata disponibile a riceverne tra le 400mila e le 600mila a fronte del futuro ridimensionamento produttivo dell’Ilva, il dato non lasciava adito ad altre congetture. Dunque, di che cosa ci si stupisce oggi? Perché sindacati e Comune recitano la parte di chi ha subito un torto dall’oggi al domani? Il tempo per trattare e proporre strade alternative era tutto dalla loro parte. Si è preferito come al solito vivacchiare. Aspettando il corso degli eventi. Ed arrivando ancora una volta fuori tempo massimo. La Cementir chiuderà. Così come l’Ilva. Ora, l’unica cosa che resta da fare, è tutelare i lavoratori con ogni mezzo possibile. Tutto il resto sono chiacchiere stonate di un coro ai minimi termini. Oltre che profondamente ridicolo.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 09.01.2014)

 

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