Taranto, il paradosso della Cementir – I sindacati cadono dalle nuvole

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cementirTARANTO – A volte abbiamo l’impressione di vivere in una realtà allucinata. Ci riferiamo alla vicenda Cementir ed alla gestione di essa da parte dei sindacati. Che da tempo sembrano aver adottato un’unica “strategia” per ogni tipologia di vertenza (vedi ad esempio quanto accaduto con la Marcegaglia). Pur sapendo infatti con largo anticipo cosa accadrà, restano inermi in attesa degli eventi, per poi indire proteste ed ergersi a paladini della difesa del diritto al lavoro (che puntualmente si traduce nell’accettare accordi che penalizzano i lavoratori e favoriscono le aziende). Da ieri i lavoratori della Cementir sono in presidio permanente davanti al sito industriale e ci resteranno almeno sino al 9 gennaio, data in cui la Regione Puglia, tramite gli assessore al Lavoro, Leo Caroli, e allo Sviluppo economico, Loredana Capone, ha convocato i sindacati e l’azienda. La direzione aziendale della Cementir ha infatti comunicato ufficialmente che il forno per la macinazione rimarrà spento dall’1 gennaio e fino almeno fino al 15 marzo 2014.

Per capire le nostre perplessità, bisogna riannodare i fili su quanto accaduto nell’ultimo anno. Lo scorso 18 dicembre, come riportato su queste colonne, il presidente ed amministratore delegato di Cementir Holding Francesco Caltagirone jr., nel corso della conference call per la presentazione del piano industriale 2014-2016 approvato il giorno prima dal Consiglio di Amministrazione del gruppo, annunciò un qualcosa che si sapeva da mesi: la riorganizzazione degli stabilimenti italiani, che garantirà al gruppo Cementir un risparmio di ben 7 milioni di euro, il cui beneficio inizierà a farsi sentire “già a partire dal 2014”. Dichiarando inoltre che la “riorganizzazione” avrebbe riguardato gli stabilimenti di Taranto e Arquata Scrivia, con la chiusura delle relative aree a caldo. Confermando quindi quanto annunciato ai sindacati nell’incontro del 6 dicembre, dai dirigenti della Cementir Italia: la cessazione per il sito di Taranto della produzione di cemento a partire dalla fine di dicembre, con la conseguente trasformazione dal 1 gennaio in centro di macinazione (all’incontro erano presenti le confederazioni sindacali di Taranto insieme ai sindacati degli edili, Fillea, Filca e Feneal sia nazionali che provinciali). Ridimensionamento che avrebbe inoltre comportato una riduzione notevole di fabbisogno di personale: dalle attuali 98 unità si passerà alle future 42 con una riduzione della forza lavoro di ben 56 dipendenti.

Tra l’altro, il primo campanello d’allarme suonò il 17 aprile dello scorso anno, giorno in cui fu approvato il bilancio 2012 della Cementir: quel giorno Caltagirone Jr annunciò il congelamento dell’investimento di oltre 150 milioni di euro destinato all’“ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto” in piedi dal 1964, giudicandolo non più conveniente per il gruppo.

Ma che la Cementir avrebbe chiuso l’area a caldo, fu lasciato intendere per la prima volta nel mese di giugno: durante l’audizione in commissione Ambiente ed Ecologia del Comune di Taranto, il direttore dello stabilimento Paolo Graziani e il direttore di Cementir Italia Mario De Gennaro, confermarono il congelamento dell’investimento ed annunciarono che a partire dal 1 gennaio 2014, qualora la situazione di mercato e dell’Ilva non avesse mostrato inversioni di tendenza importanti, il sito di Taranto sarebbe stato trasformato in centro di macinazione (ipotesi sostenuta dall’azienda anche nel tavolo nazionale dell’11 luglio scorso). Poi, lo scorso 19 settembre a Roma, l’incontro in cui fu sottoscritto l’accordo per la cassa integrazione straordinaria per “crisi aziendale” a turno per dodici mesi per i 98 lavoratori del sito tarantino.

Inoltre, il 10 settembre e il 18 novembre scorsi, su queste colonne segnalammo altre preoccupanti avvisaglie per il futuro del sito tarantino, restando puntualmente inascoltati. Già a settembre Equita, banca d’investimento italiana con sede a Milano, annunciava la negoziazione da parte di Cementir di un piano di ristrutturazione in Italia “che porterà ad un totale di circa 150 esuberi” e che prevede “la trasformazione dei cementifici di Arquata e di Taranto” la cui capacità installata, di circa 2,2 milioni di tonnellate, è pari al 50% della capacità del gruppo in Italia. Ad ottobre la Kepler Cheuvreux (società indipendente di servizi finanziari specializzata in servizi di consulenza e di intermediazione per il settore della gestione degli investimenti), diffuse un nuovo report sul settore delle costruzioni. Nel quale individuò tre fattori chiave che avrebbero implementato la redditività di Cementir: in primis, ancora una volta, “il taglio dei costi in Italia, tramite l’arresto delle produzione di clinker nel sito di Arquata Scrivia (0,8 milioni di tonnellate) e nell’impianto di Taranto (1,3 milioni di tonnellate) a partire da gennaio 2014. Cementir bloccherà così il 52% della produzione italiana del componente base del cemento”.

Per concludere, altri due segnali inequivocabili. Nel progetto di copertura del parco loppa dell’Ilva, annunciato dall’azienda lo scorso 26 novembre, si leggeva che “il deposito del si estenderà su una superficie di oltre 26.000 mq per una capacità di accumulo di 230.000 tonnellate”. Considerando che il cementificio ha sempre consumato tra le 800.000 e il milione di tonnellate di loppa all’anno e che Cementir si era dichiarata disponibile a riceverne tra le 400mila e le 600mila a fronte del futuro ridimensionamento produttivo dell’Ilva, il dato non lasciava adito ad altre congetture.

Infine, l’ultimo segnale arrivò dopo l’incontro tra l’azienda e l’Autorità Portuale dello scorso 13 dicembre, aggiornato poi alla metà di questo mese, per valutare le eventuali condizioni di agibilità della calata quattro del porto. La Cementir dovrà infatti fare spazio sulla stessa calata alla Terminal Rinfuse ed alla consorziata Italcave, che lasceranno l’area del molo polisettoriale alla Taranto Container Terminal, come previsto dall’accordo tra TCT ed Authority del 3 luglio scorso. Al termine dell’incontro del mese scorso, l’Autorità portuale tenne però a precisare che le decisioni sulla calata quattro “non hanno e non avranno diretta influenza in merito alla permanenza della Cementir a Taranto. se la Cementir ha deciso di ridimensionare la sua presenza a Taranto, lo fa anzitutto per altri motivi e non certo per un problema di utilizzo di banchine”.

Dunque la strada era segnata da tempo. Eppure ancora oggi leggiamo dichiarazioni da parte dei sindacati che ci lasciano quantomeno perplessi.

“Fino al 15 marzo la forza lavoro sarà ridimensionata come se la Cementir di Taranto fosse un centro di macinazione e non anche di produzione del cemento”, dichiara in una nota la Fillea Cgil. Vito Galeandro, della Rsu Fillea Cgil, parla “di un inizio d’anno molto preoccupante”. Mentre Antonio Stasi, segretario generale della Fillea Cgil, parla “di grande pericolo”. “Un forno che viene spento per motivi tecnici, così come viene addotto dall’azienda, anche in caso di manutenzione straordinaria non ci mette tutto questo a ripartire” osserva Stasi, per il quale non vi è “nessuna certezza della ripartenza dopo il 15 marzo. In più ci appare paradossale una situazione come questa in presenza di commesse già acquisite (come quella di 18mila tonnellate), altre in itinere, un forno spento e il clinker acquistato all’esterno dalla Buzzi di Barletta”. La Fillea Cgil segnala addirittura “troppi dubbi all’orizzonte”, dichiarando come non sia chiaro “il piano polico-aziendale che dovrebbe allontanare il rischio di possibili ridimensionamenti della forza lavoro e declassamenti dell’attuale asset aziendale. Infatti l’azienda dopo i piani di espansione del 2011 con investimenti per 200 milioni di euro del “Progetto Taranto”, oggi potrebbe trasformarsi in un centro di serie B con sola macinazione e non più produzione. In quel caso la forza lavoro si ridurrebbe del 70%. Uno smacco che Taranto non può permettersi il lusso di sostenere”. Il dubbio è quanto mai lecito: ma sino ad oggi dove hanno vissuto?

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 03.01.2013)

 

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