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Ilva: e ora che si fa?

TARANTO – E adesso che si fa? Il contraccolpo della decisione dei giudici della VI sezione penale della Cassazione, che venerdì hanno annullato senza rinvio il sequestro preventivo per 8,1 miliardi di euro nei confronti della Riva FIRE (Finanziaria Industriale Riva Emilio) emesso dal gip Todisco lo scorso 24 maggio, è stato pesante. C’è chi ha subito gridato al “venduti” (dimenticando che sin qui la Cassazione aveva bocciato ogni ricorso presentato dai legali dei Riva e di tutti gli indagati dal luglio 2012), chi continua a vedere nella via giudiziaria l’unica strada possibile per ottenere non si sa cosa e chi ha scelto una posizione di limbo in attesa di conoscere le motivazioni che hanno portato a questa decisione. La quale, questo sia chiaro a tutti, è stata di natura prettamente giurisprudenziale.

Il che vuol dire che pur sembrando illogica ai più, troverà la sua ragion d’essere nell’impervia giungla del codice penale. Sia come sia, la natura del problema non cambia: vuoi perché quegli 8 miliardi non sarebbero mai stati trovati (i militari della Guardia di Finanza trovarono appena 246mila euro nella casse oramai svuotate della holding: 212mila euro in quelle della Riva FIRE ed altri 44mila euro nella società Riva Forni elettrici arrivando a 2 miliardi soltanto grazie al sequestro di beni immobili che da oggi rientreranno anch’esse nelle mani dei Riva), vuoi perché anche a fronte di una futura condanna nel processo ancora di la da venire, non è detto che i Riva risarciranno mai Taranto e i suoi cittadini. Non solo: perché la Cassazione ha fornito un assist perfetto al gruppo lombardo.

Che adesso, per effetto della legge 89 del 4 agosto, sono fuori dai giochi almeno sino al 2016. Il commissariamento infatti, prevede che la gestione dell’Ilva Spa affidata ad Enrico Bondi duri per 3 anni: soltanto al termine del mandato, l’azienda tornerà (o almeno dovrebbe) di fatto ai Riva. I quali, soltanto a quel punto decideranno il da farsi. Ora: stante il fatto che Bondi e Ronchi non sanno dove andare a prendere i soldi per effettuare tutti gli interventi previsti dall’AIA rimodulata dal piano ambientale che dovrà essere approvato con decreto dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando entro il 28 febbraio, è chiaro che i motori dell’Ilva rischiano di fermarsi molto presto. Visto che nessuno, ad oggi, sa dire con un minimo di cognizione di causa da dove dovrebbero arrivare le risorse finanziarie per mantenere in vita il più grande siderurgico d’Europa.

Le banche italiane non sono certo così ingenue dall’andarsi ad invischiare in un labirinto senza avere la certezza che quest’ultimo contenga una via d’uscita certa. La BEI (Banca Europea degli Investimenti) può finanziare alcuni progetti, ma non può fare più di tanto. Né è pensabile ipotizzare l’intervento di qualche colosso estero, che certamente non gradirebbe avere puntati addosso i fari della magistratura tarantina. In molti ipotizzano l’intervento diretto dello Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti (dove sono depositati i risparmi postali di milioni di italiani): ma anche in questo caso, siamo sempre nel campo delle ipotesi molto più remote che reali. Né si può concretamente pensare che possano essere utilizzati i 2 miliardi di euro sequestrati dalla Procura di Milano al gruppo Riva, nell’ambito dell’inchiesta per reati fiscali: visto che il processo non è ancora iniziato e si dovrà comunque attendere l’eventuale condanna definitiva.

La giostra, dunque, pare essere arrivata all’ultimo giro. Intanto, oggi e nei prossimi giorni proseguirà il lavoro della Guardia di Finanza incaricata dalla Procura di Taranto di dissequestrare i beni del gruppo Riva e delle società controllate dell’Ilva (quest’oggi si svolgerà un incontro tra i militari e il pool di magistrati guidati da Franco Sebastio). La Cassazione, pronunciato il dispositivo ha inviato tramite la propria Procura generale alla Procura di Taranto tre ordini di cessazione della misura cautelare reale. Riguardano, nello specifico, altrettanti ricorsi proposti da Riva FIRE e Riva Forni elettrici, poi da Riva Energia, Muzzana Trasporti e Riva Acciaio, infine da Maurizio Saa, Giuseppe Parrello e Angelo Bianchi per conto delle controllate dell’Ilva. Queste ultime sono Ilva commerciale, Taranto Energia, Ilvaform, Ilva immobiliare, Immobiliare Siderurgica, Sanac, Ilva Servizi Marittimi, Innse Cilindri e Celestri. Gli avvocati del commissario Enrico Bondi hanno impugnato il sequestro delle controllate Ilva individuandovi “molteplici profili di illegittimità”. Vuoi vedere che alla fine l’Ilva chiuderà per effetto “indiretto” dei giudici della Cassazione?

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 23.10.2013)

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