TARANTO – Un vero e proprio bidone. Oggi il ministro dei Beni e delle attività culturali non si è presentato in città (ma è andato a Reggio Calabria per i Bronzi di Riace). Riportiamo, comunque, la nota che era stata preparata dal Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti alla vigilia della visita prevista.
Oggi Taranto accoglie, ancora una volta in pochi mesi, un ministro dello Stato italiano. Questa volta non si tratta di un presunto tavolo tecnico, ma del taglio di un nastro: quello che inaugurerà le sale del nuovo primo piano del nostro Museo Archeologico, il MARTA. Un museo dovrebbe rappresentare un punto di riferimento per la cultura, la storia e per l’arte di un determinato luogo. Avrebbe dovuto da sempre essere valorizzato come punta di diamante per il turismo internazionale, italiano e meridionale ma la cronistoria dei suoi finanziamenti è ricca di ritardi, lentezze burocratiche e lunghe attese.
Il primo lotto di finanziamenti fu stanziato nel 1986 ma i lavori iniziarono solo 12 anni dopo. Il primo piano fu inaugurato solo dopo sette anni di lavori nel dicembre 2007 dall’allora ministro Francesco Rutelli che in quell’occasione dichiarò che bisognava rilanciare il turismo e che sarebbe tornato ad inaugurare a breve gli altri due piani. Poi il silenzio. Le sale che avrà l’onore di visitare il ministro Massimo Bray, pugliese, sono ricche di reperti unici che raccontano delle nostre origini. Testimoniano la presenza sul nostro territorio di tante e diverse civiltà: gli apuli, i greci, i romani, gli ebrei, i musulmani, i cristiani. Lo stesso passato che ci viene raccontata nei vicoli di Taranto Vecchia, a pochi passi dal museo, ma che oggi non merita nastri da tagliare, ma solo mattoni e pietre da raccogliere per i continui crolli.
I suoi vicoli incantarono numerosi intellettuali negli anni Sessanta, da Pasolini che la descrisse come “una città che brillava sui due mari come un gigantesco diamante in frantumi”, ad Argan, Ungaretti, Quasimodo. Questo avveniva nel periodo di massima euforia della rinascita in chiave industriale della nostra città, ma quegli stessi vicoli oggi cadono a pezzi, e solo per puro caso non hanno provocato vittime come invece accadde nel 1975 quando per il crollo di uno stabile in vico Reale morirono sei persone, di cui tre bambini.
Abbandonata non è solo la nostra isola, ma anche il borgo umbertino che vede i suoi stabili storici dimenticati e svuotati come il Palazzo degli Uffizi, sede del Liceo Archita, il museo Talassografico, il liceo Ferraris e le aree dismesse recentemente dalla Marina Militare. Luoghi che invece dovrebbero essere considerati nuovi spazi utili per farne centri per l’aggregazione, la promozione dello sviluppo di nuove creatività giovanili. Quei pochi giovani che non sono costretti a scappare da qui e che rappresentano linfa vitale per ogni città ma che a Taranto non hanno prospettiva alcuna se non quella dell’emigrazione, dell’invio del curriculum alle fabbriche che inquinano, del lavoro nero e sottopagato, della carriera in Marina: lo stesso destino dei loro padri o dei loro nonni e che ci hanno portato agli insostenibili risultati attuali. La cultura può e deve rappresentare per Taranto una alternativa d’eccellenza. Ma le istituzioni, sia a livello locale che nazionale sembrano spesso ignorare la possibilità di puntare realmente su una nuova Taranto.
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti
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