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Cementir, punto di non ritorno

TARANTO – Sarà la riorganizzazione degli stabilimenti italiani a garantire al gruppo Cementir un risparmio di 7 milioni di euro: un beneficio che inizierà a farsi sentire già a partire dal 2014. Lo ha dichiarato ieri il presidente e amministratore delegato di Cementir Holding, Francesco Caltagirone jr., nel corso della conference call per la presentazione del piano industriale 2014-2016, approvato martedì dal Consiglio di Amministrazione del gruppo.

L’ad è sceso nel dettaglio, confermando come la ristrutturazione riguarderà gli stabilimenti di Taranto e Arquata Scrivia dove chiuderanno le aree a caldo. Nonostante ciò, l’Italia, ha aggiunto Caltagirone Jr., resta comunque un mercato importante per la Cementir anche se i consumi di cemento risultano in evidente calo. A crescere saranno, invece, i mercati emergenti tanto che, tra il 2013 e il 2016, la percentuale dei ricavi del gruppo riveniente da queste aree salirà dal 42 al 45 per cento. E i mercati hanno molto apprezzato sia il piano industriale che le dichiarazioni dell’ad, tanto che il titolo della Cementir ieri è letteralmente volta in Borsa: +9,47% a 3,998 euro.

Dunque, oramai non ci sono più dubbi: l’area a caldo del sito tarantino chiuderà. E non ripartirà. Non che la cosa ci sorprenda, visto e considerato che lo andiamo ripetendo dalla scorso aprile. Ora speriamo che anche i sindacati di categoria aprano definitivamente gli occhi, visto che sino a pochi giorni fa continuavano a manifestare dubbi sulle reali intenzioni dell’azienda. Taranto, in pratica, sarà ridotto a semplice centro di macinazione.

Ridimensionamento che comporterà una riduzione notevole nel fabbisogno di personale: dalle attuali 98 unità si passerà infatti alle future 42, con una riduzione della forza lavoro di ben 56 lavoratori. Che dal settembre scorso erano stati collocati in cassa integrazione straordinaria per “crisi aziendale” a turno per dodici mesi, come stabilito dall’accordo siglato a Roma lo scorso 19 settembre. Quel giorno l’azienda rassicurò i sindacati sul fatto che il sito di Taranto non avrebbe subito alcun ridimensionamento. Nonostante lo stesso Caltagirone Jr., durante il Cda dello scorso 17 aprile dove si approvò il bilancio del 2012, annunciò il congelamento dell’investimento previsto per il sito di Taranto ed ammontante ad oltre 150 milioni di euro.

Ovviamente, a giustificazione della drastica decisione, la Cementir Italia ha addotto “le previsioni di mercato che anche per il 2014 non evidenziano segnali che lasciano intravvedere una ripresa nel settore interno”. L’attuale produzione è infatti già adesso in forte deficit (-60%) rispetto al livello standard che consentirebbe il mantenimento della forza lavoro in attività. Ma il vero motivo per cui la Cementir non produrrà cemento a Taranto, è da attribuire al forte ridimensionamento dell’attività produttiva dell’Ilva.

La prova del nove è arrivata con la lettura del progetto di copertura del parco loppa dell’Ilva, annunciato dall’azienda lo scorso 26 novembre, nel quale si leggeva che “la copertura del parco avrà dimensioni di 280 metri di lunghezza, 98 metri di larghezza e un’altezza di circa 35 metri. Il deposito si estenderà quindi su una superficie di oltre 26.000 mq per una capacità di accumulo di 230.000 tonnellate”. Se si pensa che il cementificio ha sempre consumato tra le 800.000 e il milione di tonnellate di loppa all’anno e che l’azienda si era dichiarata disponibile a riceverne anche tra le 400mila e le 600mila all’anno a fronte del ridimensionamento produttivo dell’Ilva, il gioco è fatto. E’ un intero sistema industriale che sta lentamente crollando giorno dopo giorno. Il resto sono soltanto chiacchiere.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 19.12.2013)

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