In quelle carte sarà scritto il destino di quella che è a tutti gli effetti la prima risorsa naturale di Taranto. Difficile dire, al momento, quale sarà il responso finale in merito alla scelta delle operazioni di bonifica da svolgere per risanare l’area contaminata (di cui in questi anni e la scorsa settimana ci siamo occupati anche grazie alla collaborazione del sito inchiostroverde.it). Certo é che, a prescindere dalle operazioni di bonifica, il vero obiettivo resta sempre lo stesso: individuare tutte le fonti inquinanti ancora attive, intervenendo su quest’ultime e bloccando, si spera per sempre, il loro “contributo” inquinante.
Nei giorni scorsi, abbiamo riportato un riepilogo su questo: le fonti primarie ancora attive sono le aree a terra gestite dalla Marina Militare tramite l’Arsenale, in cui la presenza di PCB è stata accertata nei terreni e nella falda superficiale; la contaminazione è veicolata dalla falda superficiale, che in quei luoghi ha come recapito le sponde del Mar Piccolo a nord di via del Pizzone. Zona in cui ricade l’ex area IP, la cui messa in sicurezza da parte di Marigenmil è tutt’altro che stata completata. Altra “probabile” fonte primaria ancora attiva, è l’area occupata dall’azienda San Marco Metalmeccanica, dove è stata accertata la presenza di una cava colmata, tra l’altro, da materiale contenente PCB; la diffusione della contaminazione verso il Mar Piccolo non è stata accertata, ma l’ipotesi di un rischio non nullo appare verosimile in considerazione del fatto che il moto delle acque della falda carsica profonda avviene verso il Mar Piccolo.
La cava in questione si trova a nord dell’ex Italsider e fu colmata dalla stessa azienda all’epoca dei fatti di proprietà dello Stato, con le scorie che provenivano dalla lavorazione del siderurgico. In quella cava, è stato stimato dalla Regione, sono stati interrati illegalmente 3 milioni di metri cubi di rifiuti (su quei terreni oggi operano una decina d’imprese, grazie ai permessi a costruire concessi alla fine degli anni ’90). E’ bene sottolineare, per amor di verità, che le imprese obbligate a fare la caratterizzazione effettuarono i sondaggi e quando arrivarono in falda trovarono un metro di olio pieno di PCB. Fonte secondaria attiva sono invece considerati i sedimenti del Mar Piccolo, dove sono state individuate due distinte zone interessate dalla presenza di PCB; una si trova in corrispondenza dell’Arsenale militare, nell’area di caratterizzazione denominata “area 170 ha”, l’altra posta a nord del primo seno, a circa 200 m ad ovest della penisola di Punta Penna; in entrambi i casi la diffusione. Dell’inquinante avviene verosimilmente attraverso la ripetuta sospensione di sedimenti contaminati presenti sul fondo.
E’ bene ricordare che nell’atto di intesa sottoscritto a Roma il 26 luglio 2012 riguardante la bonifica e l’ambientalizzazione dell’area tarantina, per la “Bonifica e alla messa in sicurezza permanente dei sedimi contaminati da PCB del Mar Piccolo” furono stanziati 21 milioni di euro, garantiti dal “Fondo Sviluppo e Coesione” della Regione Puglia ed inserito nell’ultima delibera CIPE. E qui sorge l’ennesimo problema: per legge, le risorse delle delibere CIPE nel momento in cui vengono assegnate in maniera preliminare, devono essere utilizzate entro determinate date. Ciò vuol dire che bisogna assumere entro i tempi stabiliti delle obbligazioni giuridicamente vincolanti: nel nostro caso, il limite è l’attuale mese corrente (non é un caso se le opere di caratterizzazione per l’area PIP di Statte e nelle scuole dei Tamburi siano state già assegnate, rigorosamente a ditte del Nord). E’ probabile dunque che nell’odierna Cabina di Regia saranno forniti chiarimenti in merito.
Oggi tenteremo di capire su quale metodologia ARPA Puglia e CNR stiano ragionando: intanto lo scorso aprile sottolineammo come nell’atto di intesa sottoscritto a Roma il 26 luglio 2012, nella parte inerente gli interventi sul I seno del Mar Piccolo, fu inserito il vecchio progetto del 2005 del ministero dell’Ambiente, in cui era previsto il dragaggio dei fondali dei primi 170 metri dalla banchina dell’Arsenale (appunto l’area “170 ha”), per cui nel 2006 furono finanziati 26 milioni di euro (poi persi perché il bando di gara fu ritirato). Dopo svariate riunioni della Cabina di Regia tra il febbraio e il marzo scorso, e diverse resistenze, ARPA Puglia riuscì ad ottenere l’ok per svolgere l’attuale studio in corso, rinviando di fatto la decisione sulla metodologia da usare. Perché il dragaggio dei sedimenti del Mar Piccolo, sono ancora oggi un fantasma che si aggira nelle acque del I seno. Oggi ne sapremo certamente di più.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.12.2013)
N.B. La riunione è stata a rinviata al 19 dicembre
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