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Ilva, la disputa (inutile) sulla salute

TARANTO – Nuova puntata nella polemica in corso dallo scorso ottobre tra ARPA, Regione Puglia e ministero dell’Ambiente e della Salute sull’applicazione della Valutazione del Danno Sanitario per l’Ilva. Lo scorso 9 dicembre infatti, una nota di tre pagine del direttore generale del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco (inviata anche al ministero dell’Ambiente, all’Istituto Superiore di Sanità e all’ASL di Taranto), contesta la valutazione di ARPA secondo cui fatta oggi, la Valutazione del danno sanitario, “si avrebbe un quadro critico che poi diventa migliore ad AIA attuata. Considerando la latenza di alcune patologie – afferma Ruocco – un quadro sanitario compromesso è certamente in relazione con la contaminazione pregressa che lo ha generato, ma non necessariamente incompatibile con un ambiente ormai risanato”.

Per capire di cosa stiamo parlando, occorre fare inevitabilmente un passo indietro. Lo scorso 30 agosto demmo notizia della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.197 del 23 agosto 2013 del decreto del 24 aprile 2013 “Disposizioni volte a stabilire i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS)”, a firma dell’ex ministro della Salute Renato Balduzzi e dell’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Il tutto, trae spunto dalla legge “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate ad elevato rischio ambientale”, approvata all’unanimità il 17 luglio 2012 dal consiglio regionale della Puglia. L’intento della legge era quello di “prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi e per il territorio regionale”. Il regolamento della stessa fu approvato il 3 ottobre 2012.

Mentre la prima relazione redatta congiuntamente dall’Agenzia Regionale dei Servizi Sanitari (AReS), da ARPA e ASL Taranto, che la legge regionale prevede sia prodotta almeno con cadenza annuale, oltre a basarsi sul registro tumori regionale e mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale, inglobò anche i dati del registro tumori di Taranto (valido per gli anni 2006-07-08) e quelli dello studio Sentieri (dal 2003 al 2009) realizzato dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore della Sanità. Presentata durante la riunione della V commissione regionale lo scorso 29 maggio e lunga ben 99 pagine, la conclusione della relazione della VdS fu la seguente: “I miglioramenti delle prestazioni ambientali, conseguiti con la completa attuazione della nuova AIA (prevista per il 2016), comporteranno un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale”.

Indi per cui il consiglio finale, fu quello di chiedere la riduzione della produzione dell’Ilva 7 milioni di tonnellate di acciaio a fronte delle 8 previste dall’AIA. Quando pubblicammo l’articolo in merito alla VdS lo scorso 30 maggio, per settimane la vicenda rimase sotterrata come al solito da strati di indifferenza totale. Per tirarla fuori, servì la relazione che Bondi allegò ad una lettera del 29 giugno, redatta da alcuni consulenti di vecchia data dell’Ilva Spa, che contestarono quella relazione addebitando i fenomeni di malattia e morte registrati a Taranto, ai presunti “vizi” dei tarantini, un “classico” delle città portuali: tabacco e alcool. Attorno al caso si scatenò la solita infinita e futile polemica tutta tarantina, alimentata anche dal “Fatto Quotidiano”, che si concluse nell’ennesima bolla di sapone.

Tornando alle cose serie, lo scorso 26 luglio il dott. Agostino Di Ciaula (ISDE, Medici per l’Ambiente) fu ascoltato dalla commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Il suo giudizio fu netto: anche grazie ai due decreti ‘salva-Ilva’, la salute dei tarantini sarebbe rimasta un bene “negoziabile”. Inoltre, Di Ciaula sottolineò come il calcolo espresso nella relazione sulla VdS, fosse “solo parziale” e il dato sul rischio “fortemente sottostimato”. L’analisi, infatti, prendeva in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo completamente le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’Ilva per ingestione. Il rapporto ARPA, sostenne Di Ciaula, “calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano in soggetti adulti di peso medio. Non considera che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini”. Sei mesi dopo l’approvazione del decreto e a due dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ARPA e Regione Puglia presentano ricorso al Tar del Lazio conto il decreto interministeriale.

Tre, fra le altre, le contestazioni mosse. In primo luogo che anche ad AIA attuata, permarrà comunque un rischio cancerogeno per via inalatoria “residuo” nella popolazione; che una procedura basata sui dati misurati non può essere utile se non alla fine di tutti gli interventi AIA, ovvero ad agosto 2016, e considerando che “i dati consolidati per il 2016 non saranno disponibili prima del 2017 – rilevava l’Arpa -, ne deriva che il primo rapporto Vds Ilva non potrà essere disponibile prima di quattro anni”. Se invece si effettuasse la VdS “sui dati misurati attuali” si avrebbe, rilevava l’Arpa, la “descrizione di un quadro sanitario compromesso e un esito del rapporto Vds rassicurante e comunque in nessun modo indicativo dell’efficacia delle prescrizioni AIA”. Il ministero della Salute rigetta però quest’impostazione e afferma che proprio l’analisi dei dati misurati permette di vedere cosa stanno determinando, in termini di impatto sulla popolazione, l’attuazione delle prescrizioni AIA nell’Ilva. “Non può essere condivisa – conclude Ruocco nella sua breve relazione – la tesi secondo cui le valutazioni dovrebbero essere necessariamente condotte al termine dei lavori di adeguamento prescritti. E’ proprio l’uso di dati misurati, infatti, che può consentire di seguire gli effetti sulla salute durante le diverse fasi di attuazione delle prescrizioni”. Non entreremo nel merito della polemica in corso. Né riproporremo ancora una volta le nostre perplessità sulla complessità e l’effettiva efficacia della legge regionale. Né su quanto stabilito dalla legge 89 del 4 agosto, secondo cui la VdS potrà al massimo comportare un ulteriore riesame dell’AIA, “finalizzata all’ulteriore contenimento dei contaminanti che li originano”.

Di tutto questo, abbiamo parlato fin troppo. Ma possiamo entrare nel dettaglio del decreto interministeriale e porre alcune domande. Perché, ad esempio, si è scelto di separare l’epidemiologia dalla valutazione del rischio, visto che proprio l’epidemiologia è la disciplina utilizzata per la misura dello stesso? La separazione tra la valutazione di cosa è successo fino adesso e la previsione di cosa può succedere in futuro, è di fatto incomprensibile. Inoltre, il decreto prevede due procedure indipendenti senza prevedere che le stesse interagiscano tra loro. Come spiega sin troppo bene la letteratura scientifica, senza una buona epidemiologia non ci può essere una valida misura del rischio, e viceversa senza quest’ultima sarà difficile se non impossibile la gestione del rischio stesso. Inoltre, in merito all’esposizione degli inquinanti, ultimamente nella letteratura scientifica, a fronte dell’approccio valutativo per singolo inquinante si sta facendo strada un approccio basato sulla misurazione della dose interna assorbita di più inquinanti, La possibilità di esaminare l’impatto sanitario di una singola sostanza, viene anche in quest’ultimo decreto vincolata al superamento o meno dei valori di riferimento di legge. In altre parole, se la sostanza tossica in questione non supera, sulla base dei dati ambientali disponibili, i valori stabiliti per legge (o i valori stabiliti da WHO? non si comprende nel testo) la valutazione non viene eseguita.

Il risultato è una sottostima del rischio sanitario: perché da una parte “i valori di riferimento per le sostanze tossiche sono in continua rivalutazione, dall’altra l’esposizione di quote grandi di popolazione a livelli anche molto bassi può comportare effetti sanitari importanti, e, in aggiunta, gruppi più suscettibili possono essere vulnerabili a livelli anche molto inferiori alle soglie”. Inoltre non possono essere trascurati gli effetti sinergici tra varie sostanze. Dunque, la “censura” significa ignorare tali possibili impatti. La separazione non è quindi scientificamente giustificata. Né è chiaro cosa accadrebbe in caso di esito negativo per la salute della popolazione. La soluzione, come scriviamo da anni, è e resta soltanto una: fermare quella fabbrica e ripartire da zero, dando a questa città un altro futuro. Prima di tutto ambientale, sanitario e sociale. E poi economico. “Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo sé stessi” (Fëdor Dostoevskij Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881, L’idiota, 1869).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 14.12.2013)

 

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