Mar Piccolo, il fiume silenzioso al Pcb – Dalla zona Pip di Statte scende (da decenni) veleno
TARANTO – Se il problema dell’inquinamento del I seno del Mar Piccolo fosse stato addebitabile soltanto alle aree a terra dell’Arsenale della Marina Militare (tra cui l’ex area IP, l’area Gittata e la zona “170 ha”), il compito di Arpa Puglia e CNR nella realizzazione dello studio sui sedimenti del I seno e sullo stato della falda superficiale e profonda, probabilmente sarebbe stato molto più semplice oltre che già terminato. Ed invece così non é. Perché da un numero di anni imprecisato, un lungo fiume silenzioso carico di PCB, scende dalla zona industriale a sud di Statte (PIP), precisamente in contrada San Francesco degli Aranci, all’interno del sito di interesse Nazionale (SIN) di Taranto, per sfociare nel I seno del Mar Piccolo. E’ in quel punto infatti, che è allocata la San Marco Metalmeccanica srl, dove avvengono lavori di preparazione, saldatura ed assemblaggio di profilati in carpenteria metallica, oltre che lavori di lattoneria e piccoli lavori di meccanica complementari ai lavori di carpenteria metallica. Fin qui, dunque, nessun problema.
Una cava stracolma di veleni
Se non fosse che il terreno occupato dalla San Marco, si trova in un’area adibita, in passato, alla produzione di materiale lapideo; infatti, foto aeree storiche (risalenti agli anni ‘50 del secolo scorso) mostrano chiaramente l’esistenza di una vasta cava. Di questa azienda e della storia di ciò che si trova al di sotto della sua struttura, siamo venuti a conoscenza grazie alla famosa “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe”, effettuata dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia e presentata nel 2011, e presentata durante la Giunta Regionale del 2 novembre, dall’attuale assessore alla Qualità dell’Ambiente Lorenzo Nicastro, che quel giorno relazionò sulla contaminazione da PCB del I seno del Mar Piccolo.
Giusto per completezza storica di informazioni, è bene ricordare che quel giorno lo stesso Nicastro lesse in aula una nota dell’ISPRA (datata 4 ottobre 2001), che l’ente inviò al Ministero dell’Ambiente e nella quale veniva indicato il grave stato di contaminazione del mar Piccolo. La relazione denunciava come dal 1972 al 1995, la cava sottostante la San Marco venne riempita con materiale di risulta e scarti provenienti da lavorazioni di tipo industriale (l’azienda acquistò il terreno nel 2003). Chi ha compiuto quest’ennesimo atto scellerato nei confronti dell’ambiente tarantino, ignorava che l’area in cui si colloca la cava in questione, possiede una sovrapposizione di una serie sedimentaria clastica pleistocenica (Calcareniti di Gravina) e del substrato mesozoico carbonatico (Calcare di Altamura). In quella zona è presente solo la falda profonda che ha sede nella successione del Calcare di Altamura. Gli elaborati del Piano regionale di Tutela delle Acque mostrarono come lo scorrimento della falda carsica avviene prevalentemente lungo la direttrice NO-SE, cioè proprio verso il Mar Piccolo. Il che spiegherebbe il perché nella mappa del CNR presentata nell’agosto 2011, viene segnalato come area altamente inquinata da PCB, lo specchio d’acqua prospiciente i Tamburi e il Galeso.
Una tripla caratterizzazione
Negli anni compresi tra il 1995 e il 1998 furono effettuate una serie di indagini geologiche e geofisiche per una più approfondita analisi dell’area in questione. Il Presidio Multizonale di Prevenzione a seguito della caratterizzazione eseguita, dava compatibilità del terreno analizzato con la destinazione ad uso industriale dell’area. In data 3 giugno 1999 il Dipartimento di Prevenzione U.O. di Taranto (con propria nota prot. 1251/I/Sip) ribadiva, rispetto alla nota dell’Ufficio Tecnico del Comune di Statte (avente prot. 1778), il proprio parere favorevole alla realizzazione dell’insediamento produttivo nell’area in oggetto. Nel 2010 il sito è stato caratterizzato secondo quanto previsto dal piano della caratterizzazione approvato con prescrizioni in sede di conferenza dei servizi presso il Ministero dell’Ambiente tra il gennaio 2008 ed il marzo 2010.
Al termine delle operazioni questo il risultato: “Numerosi sono i composti per i quali si è verificato il superamento dei valori limite; in particolare, spiccano superamenti elevatissimi dei valori limite previsti per alcuni metalli, IPA, idrocarburi pesanti, diossine e PCB”. Non solo: già all’epoca si evidenziava come “data l’entità della contaminazione rilevata in falda, è evidente la necessità di attuare una messa in sicurezza di emergenza per rimuovere il prodotto libero”. In esito alla conferenza dei servizi ministeriale del 13/12/2010, la Direzione Generale TRI (tutela delle risorse idriche), prendendo atto dei risultati della caratterizzazione, prescriveva “di avviare entro i minimi tempi tecnici necessari le necessarie attività di bonifica o di messa in sicurezza permanente dell’area”.
E già all’epoca si faceva i conti con “gli ingiustificati ritardi e l’inerzia dell’azienda nell’adozione dei necessari, urgenti, interventi di messa in sicurezza della falda e/o dei suoli”: ciò nonostante la Direzione Generale TRI ribadiva “la richiesta all’azienda di adottare, ad horas, i predetti interventi. In mancanza, si richiede al Comune l’emanazione di apposita ordinanza di diffida per l’adozione dei citati interventi a salvaguardia della salute umana e dell’ambiente”. Due giorno dopo, il 14/12/2010, la Direzione Generale TRI chiedeva agli organi di controllo (Polizia provinciale, ARPA Puglia ed ASL), ognuno per la propria competenza, “di effettuare sopralluoghi per accertare lo stato delle aree, al fine di individuare le consequenziali azioni precauzionali e di prevenzione”. Inoltre, chiedeva al Comune di Taranto “di emanare apposita ordinanza di diffida per l’adozione dei necessari ed urgenti interventi di messa in sicurezza ed all’ISPRA ed ISS di fornire il necessario supporto tecnicoscientifico”.
Il bello sapete qual è? Che noi oggi, nonostante queste analisi pregresse, lo scorso ottobre abbiamo iniziato nuove operazioni di caratterizzazione della falda profonda dell’area a sud di Statte. Secondo l’accordo siglato a Roma il 26 luglio 2012 riguardante la bonifica e l’ambientalizzazione dell’area tarantina, sarà di 37 milioni di euro il costo dell’intero intervento per la bonifica dell’area PIP (Piano insediamento produttivo) del comune a due passi dal siderurgico e distante appena 6 km dalla città dei Due Mari. Per la sola fase di caratterizzazione, i cui lavori sono stati affidati ancora una volta ad un’azienda del Nord, è stata prevista una spesa di circa 400mila euro. Dunque, ripetiamo a distanza di pochi anni le stesse operazioni per andare alla ricerca di verità di cui già conosciamo l’esistenza. Nel 2011, nelle stanze chiuse della Regione, per la sola operazione di bonifica di quella cava e della falda, si ipotizzava un intervento di almeno 200 milioni di euro.
E se anche i citri…
Ora. Il nodo di tutta questa faccenda, che poi è anche il motivo per cui l’azienda ha preso tempo e gli organi istituzionali hanno latitato ancora una volta, è che quella cava, come ribadito sempre nella famosa riunione della V commissione Ambiente della Regione Puglia del 9 settembre 2011, si trovata a nord dell’ex Italsider e fu colmata dalla stessa azienda all’epoca dei fatti di proprietà dello Stato, con tutte le scorie che provenivano dalla lavorazione del siderurgico. In quella cava, è stato stimato dalla Regione, ci sono 3 milioni di metri cubi di rifiuti (su quei terreni oggi operano una decina d’imprese, proprio grazie ai permessi a costruire di fine anni ’90). E’ bene sottolineare, per amor di verità, che le imprese obbligate a fare la caratterizzazione effettuarono i sondaggi e quando arrivarono in falda trovarono un metro di olio pieno di PCB. E qui sorge l’altro, gravissimo problema di tutta questa vicenda.
Come abbiamo avuto modo di ribadire più volte su queste colonne nel corso degli anni, il PCB non arriverebbe nel I seno del Mar Piccolo solo attraverso lo scorrere della falda. Ma anche “grazie” ai famosi citri (sorgenti di acqua dolce presenti nel I e nel II seno). Sì, perché pare che proprio la funzione che quest’ultimi svolgono da secoli, potrebbe avere un ruolo non secondario in tutta questa faccenda. L’ipotesi al vaglio da oltre due anni è infatti che queste sorgenti, che sboccando dalla crosta sottomarina apportano acqua dolce non potabile mescolata con acqua salmastra a contenuto variabile di sali, potrebbero trasportare anche i vari agenti inquinanti presenti nella falda. Può sembrare paradossale ma non lo è: i citri, che da sempre assicurano il ricambio e la rigenerazione dell’acqua di mare del Mar Piccolo, fattore che ha fatto grande e unica al mondo la molluschicoltura tarantina, potrebbero fornire ancora una volta un grande aiuto al mare, rivelando quali inquinanti sono presenti nella falda, che entità e qualità nocive posseggono e, soprattutto, da dove derivano.
Questo perché dal punto di vista strettamente geologico, gli studiosi convengono da anni nel sostenere come i citri siano l’effetto di fenomeni carsici che hanno origine nell’altopiano delle Murge: le piogge, dopo essersi raccolte in bacini sotterranei incuneandosi nelle rocce calcaree del terreno, vengono convogliate in gallerie a pressione che sfociano in crateri sotterranei che si aprono sui fondali del Mar Piccolo in prossimità del Galeso, degli ex cantieri navali Tosi e nella parte orientale del II Seno. Ecco perché potrebbero portare con sé da un lato l’inquinamento da PCB proveniente dalla zona industriale di Statte e dall’altro quello dei cantieri navali che hanno lavorato nel bacino del Mar Piccolo dalla fine del 1914 al 31 dicembre del 1990. Questa è, in parte, la storia di Taranto. Del suo mare. E dei suoi veleni. “Gli uomini costruiscono le loro più grandi speranze su mezzi di distruzione” (Louis Scutenaire, Ollignies 29 giugno 1905 – Bruxelles 15 Agosto 1987).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 13.12.2013)