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Mar Piccolo, il tempo è denaro – Il fantasma della mancata bonifica dell’area “170 Ha”

TARANTO – E’ indubbio che ARPA Puglia e CNR abbiamo un compito non semplice da svolgere. Come riportato ieri, martedì prossimo nella riunione della Cabina di Regia sarà presentato un aggiornamento dei lavori sullo studio portato avanti in questi mesi dai due enti, sulla reale situazione dell’inquinamento del I seno del Mar Piccolo. Dopo di che, a marzo prossimo, sarà consegnato lo studio definitivo dove ARPA e CNR indicheranno la loro proposta d’intervento sulla metodologia da usare per l’eventuale bonifica dell’area contaminata.

E’ bene ricordare che nell’atto di intesa sottoscritto a Roma il 26 luglio 2012 riguardante la bonifica e l’ambientalizzazione dell’area tarantina, per la “Bonifica e alla messa in sicurezza permanente dei sedimi contaminati da PCB del Mar Piccolo” furono stanziati 21 milioni di euro, garantiti dal “Fondo Sviluppo e Coesione” della Regione Puglia ed inserito nell’ultima delibera Cipe. E qui, poniamo la prima domanda: per legge, le risorse delle delibere Cipe nel momento in cui vengono assegnate in maniera preliminare, devono essere utilizzate entro determinate date. Ciò vuol dire che bisogna assumere entro i tempi stabiliti delle obbligazioni giuridicamente vincolanti: nel nostro caso, il limite è l’attuale mese corrente (non é un caso se le opere di caratterizzazione per l’area PIP di Statte e nelle scuole dei Tamburi siano state già assegnate, rigorosamente a ditte del Nord). E’ probabile dunque che nella Cabina di Regia della prossima settimana, saranno forniti chiarimenti in merito.

Ciò detto, torniamo al dilemma di sempre: quale metodologia usare per bonificare i sedimenti contaminati nel I seno del Mar Piccolo? Dopo aver ricostruito ieri le vicende sull’ex area IP dell’Arsenale della Marina Militare (sulla quale ancora non si é intervenuti e che quindi resta una fonte attiva di inquinamento del I seno del Mar Piccolo), oggi ripercorreremo ancora una volta la storia degli anni passati, restando sempre in ambito del “generoso” contributo dato dall’Arsenale della Marina Militare all’inquinamento del bacino del Mar Piccolo.

Lo scorso aprile sottolineammo che nell’atto di intesa sottoscritto a Roma il 26 luglio 2012, nella parte inerente gli interventi sul I seno del Mar Piccolo, fu inserito il vecchio progetto del 2005 del ministero dell’Ambiente, in cui era previsto il dragaggio dei fondali dei primi 170 metri dalla banchina dell’Arsenale, per cui nel 2006 furono finanziati 26 milioni di euro. Dopo svariate riunioni della Cabina di Regia tra il febbraio e il marzo scorso, e diverse resistenze, ARPA Puglia riuscì ad ottenere l’ok per svolgere l’attuale studio in corso, rinviando di fatto la decisione sulla metodologia da usare. Perché il dragaggio dei sedimenti del Mar Piccolo, sono ancora oggi un fantasma che si aggira nelle acque del I seno.

La valutazione della qualità dei sedimenti dell’area “170 ha”, fu formulata sulla base del confronto con i “valori di intervento per i sedimenti di aree fortemente antropizzate nel sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto” proposti da ICRAM ed approvati in una conferenza dei servizi ministeriale il 29 dicembre 2004. I dati evidenziarono uno stato di contaminazione diffusa da PCB, con superamento del valore di intervento (190 μg/kg) per tutta l’area indagata e per tutto lo spessore analizzato. Per quanto riguarda i metalli e gli elementi in tracce, in tutta l’area fu rilevata una contaminazione diffusa da piombo. Estesa anche la contaminazione da rame e zinco. Furono rilevate anche concentrazioni elevate di mercurio, arsenico e cadmio. Come detto, per l’area “170 ha” fu approvato un progetto definitivo da parte del MISE con relativo quadro economico di € 35.415.303,12. Nel verbale del 15/09/2005 infatti, la conferenza dei servizi ministeriale deliberava di richiedere al Commissario Delegato della Regione Puglia “di procedere con la massima celerità all’aggiudicazione delle attività di MISE dei sedimenti con valori di concentrazioni di inquinanti superiori al 90% dei valori di concentrazione limite accettabili”.

Per anni si è detto (e l’abbiamo riportato anche noi), che le risorse stanziate nel 2006 sparirono nel nulla. E che furono perse per l’inerzia delle istituzioni locali. In realtà, come già riportato, il bando di gara fu ritirato dopo una serie di eventi (che oggi possono tornare utili per non ripetere gli errori del passato). All’epoca Il commissario delegato competente per la questione delle bonifiche dei siti d’interesse nazionale (siamo tra il 2005 e il 2006), coincideva con il presidente della Regione: fu infatti Nichi Vendola, eletto nella primavera del 2005, a commissionare a Sviluppo Italia, società in house che lavorava per il ministero dello Sviluppo economico, il progetto per la bonifica dell’area 170 ettari prospiciente l’Arsenale militare, a sud del I seno. Nell’ambito delle brevi attività svolte dalla Marina Militare, si fece una caratterizzazione e si prospettò un progetto di bonifica. Che prevedeva il dragaggio dei sedimenti e l’asportazione di quelli contaminati: il piano fu approvato dal ministero dell’Ambiente con il parere favorevole dell’Istituto superiore di sanità (ISS) e dell’ICRAM, l’attuale ISPRA. Il progetto fu messo in gara.

La scadenza per non perdere le risorse fu stabilita nel 30 settembre del 2006. Il problema fu che rispetto a quel bando di gara tutte le associazioni di mitilicoltori fecero ricorso al TAR. La motivazione del ricorso, appoggiata anche da diversi comitati ed associazioni (in quei mesi fu organizzato anche un convegno a Taranto alla presenza di studiosi provenienti da tutta Italia), si basava sul fatto che l’intervento di bonifica di dragaggio e di rimozione del materiale contaminato (sulla cui profondità c’è sempre stata una disputa, tra chi parlava di 1,20 metri e chi 6) avrebbe potuto, o meglio ci sarebbe stato un rischio non nullo, portare in sospensione del materiale fine (proprio a causa dell’intervento di bonifica) che sarebbe potuto sfuggire dai sistemi di conterminamento presenti nel progetto, che comunque aveva previsto una serie di precauzioni e d’interventi che avrebbero limitato la sospensione dei sedimenti al di fuori della zona di dragaggio.

La gara fu ritirata e i soldi, ovviamente, persi. Ma l’inquinamento é proseguito. Questo perché, come stabilito anche dalla “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe”, effettuata dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia (presentata durante la Giunta Regionale del 2 novembre 2012 dall’assessore alla Qualità dell’Ambiente Lorenzo Nicastro di cui a lungo ci siamo occupati) nella zona “170 ha”, così come in un’altra posta a nord del I seno a circa 200 m ad ovest della penisola di Punta Penna, la diffusione dell’inquinante avviene attraverso la ripetuta sospensione di sedimenti contaminati presenti sul fondo. Non solo: perché quando nel 2006 fu perso il bando di gara, non ci si è preoccupati di continuare ad indagare e quindi di intervenire per porre fine all’inquinamento. Basti pensare che la movimentazione dei mezzi navali, cioè la movimentazione delle navi militari,  comporta una risospensione quantificata in diecimila volte superiore alla risospensione derivante  dagli interventi di dragaggio. Ecco perché i sedimenti del Mar Piccolo sono ancora oggi considerati una fonte secondaria attiva di inquinamento del I seno. E la storia non finisce qui.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.12.2013)

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